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internetday_Non solo onde gravitazionali tra Pisa e gli Stati Uniti. Trent’anni prima si è avuto il collegamento tra la sede del Cnuce (Centro nazionale universitario di calcolo elettronico), istituto pisano del Cnr e Roaring Creek, in Pennsylvania. Erano le ore 18 del 30 aprile 1986. E da quel momento, passo dopo passo, il mondo e il modo di comunicare non sarebbero stati più gli stessi. Tutto avvenne attraverso un cavo telefonico della Sip, progenitrice della Tim, la rete Italcable per le comunicazioni internazionali e il centro spaziale del Fucino in Abruzzo che, attraverso il satellite Intelsat IV in orbita geostazionaria sull’Atlantico, fece rimbalzare il segnale verso la Pennsylvania. Erano giorni in cui l’attenzione del mondo era concentrata sul drammatico incidente alla centrale nucleare di Chernobyl, ma Pisa era collegata alla rete americana Arpanet, che dal 1969 aveva messo in rete le università degli Stati Uniti, e si era evoluta in internet. Al Cnuce lavoravano Stefano Trumpy, direttore, e Luciano Lenzini, l’ideatore del collegamento, il quale aveva preso visione delle potenzialità di internet qualche tempo prima a Londra. Il 1 gennaio 1983 era stato adottato il protocollo Tcp/Ip, ma ci volle un bel po’, più di tre anni, prima di mettere insieme i soggetti che avrebbero permesso a un computer italiano di accedere alla rete internet. Il primo messaggio dall’Italia recitava “ping”; dall’altra sponda risposero semplicemente “ok”.

internet oggiOggi siamo tutti connessi a www (world wide web), grazie agli smartphone e ai tablet e computer portatili, ma in Italia resta indietro in termini di alfabetizzazione digitale e persiste il ritardo sulla diffusione della banda ultralarga per i cittadini. Per contro, il mondo dell’università e della ricerca italiana può contare sulla rete GARR, un’infrastruttura di circa 15.000 km di fibra ottica gestita in maniera completamente indipendente dagli operatori commerciali. La velocità di connessione arriva fino a 100 Gbps, ma già si stanno sperimentando soluzioni tecnologiche per garantire collegamenti nell’ordine del Terabit/sec. Connesse a questa rete a banda ultralarga sono oltre 1000 sedi tra università, centri di ricerca, ospedali, musei, biblioteche, scuole e i suoi servizi sono a supporto di grandi iniziative internazionali che trasferiscono ingenti quantità di dati come LHC, Virgo, e-VLBI o Elixir solo per citarne alcune nei campi della fisica, della radioastronomia o della biomedicina.

In fatto di infrastrutture digitali, le università e gli enti di ricerca italiana sono al livello dei Paesi più avanzati e i nostri ricercatori possono competere e collaborare con tutto il mondo anche in quelle aree del Paese solo marginalmente raggiunte dagli operatori commerciali. Secondo gli ultimi studi sullo stato di Internet, l’Italia è ancora ad una velocità media di connessione pari a 7.4 Mbps (fonte: Report Akamai, State of the Internet). Se osserviamo la capacità di accesso delle organizzazioni connesse a GARR, notiamo invece un valore medio di 1.2 Gbps, circa 160 volte superiore. Va inoltre considerato che la stessa velocità è valida sia in download che in upload a differenza delle connessioni domestiche tipicamente ADSL e quindi asimmetriche. Il traffico totale sulla rete della ricerca è pari a 175 Petabyte all’anno, ovvero quasi 500 Terabyte al giorno. La rete italiana dell’università e della ricerca GARR ha permesso alle prime reti informatiche italiane esistenti nel 1986, tutte nate dal mondo della ricerca (CNR,INFN, ENEA) e delle università, di comunicare fra di loro con un linguaggio condiviso. La rete GARR è stata la prima rete telematica diffusa sul territorio nazionale. Basti pensare che il suo numero di registrazione tra le reti di tutto il mondo è 137, rendendola prima in Italia e terza in Europa – per fare un confronto: IBM è al 163 e il Cern al 513. Google o Facebook sono oltre il numero 15.000. GARR non ha finalità di lucro e non è un operatore commerciale ma supporta ad altissimi livelli la ricerca e il lavoro quotidiano di milioni di utenti tra ricercatori, docenti e studenti. Si tratta di una rete della comunità: un patrimonio condiviso. Avere un’infrastruttura proprietaria fatta di fibre e apparati, piuttosto che un servizio in affitto da altri, significa per la comunità della ricerca e dell’istruzione avere la possibilità di crescere adeguatamente nel tempo senza la necessità di effettuare ulteriori costosi investimenti e, allo stesso tempo, poter sperimentare soluzioni tecnologiche sempre più innovative.