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Un'immagine d'archivio mostra una rappresentazione della struttura a doppia elica dell'acido desossiribonucleico (DNA).  ANSA / MATTHEW FEARNSessant’anni fa, il 25 aprile del 1953, gli scienziati James Watson e Francis Crick pubblicarono lo studio destinato a cambiare il corso della medicina e biologia. Per la prima volta fu descritta la struttura fondamentale del nostro codice genetico: la doppia elica del Dna. Fu la rivista “Nature” a pubblicare lo storico articolo in cui James Watson e Francis Crick espongono la loro interpretazione dei dati cristallografici raccolti da DNA batterico da Maurice Wilkins e Rosalind Franklin. Secondo la loro corretta interpretazione, la struttura della macromolecola è costituita da due catene che, come una specie di scala a chiocciola, si avvolgono parallelamente attorno allo stesso asse. La lunga molecola è tenuta assieme da coppie di quattro basi azotate, che formano i “pioli” della scala (adenina, timina, guanina e citosina, abbreviate in A, T, G, e C). Dal fatto che le basi si accoppiano sempre allo stesso modo ( A può legare solo con T e G può legare solo con C), Watson e Crick suggerirono nell’articolo che i due lati della “scala” potessero servire come stampo l’uno per l’altro, garantendo così la possibilità che l’informazione genetica venga copiata e si conservi inalterata da cellula a cellula.

Nel famoso numero della rivista scientifica Nature, datato 25 aprile 1953 (www.nature.com/nature/dna50/archive.html) vennero pubblicati tre lavori fondamentali destinati a modificare la ricerca biomedica: “A Structure for Deoxyribose Nucleic Acid” di Watson e Crick; “Molecular Structure of Deoxypentose Nucleic Acids” di Wilkins, Stokes e Wilson; “Molecular Configuration in Sodium Thymonucleate” di Franklin e Gosling, Nei tre articoli veniva definita la struttura tridimensionale del DNA, la molecola in cui è conservata l’informazione genetica. Per questi lavori Watson, Crick e Wilson hanno ricevuto il premio Nobel per la Medicina nel 1962. Tuttavia anche i dati cristallografici prodotti da Rosalind Franklin, morta prematuramente nel 1958, avevano contribuito allo sviluppo del modello.

James Watson e Francis Crick ebbero il merito di notare per primi che, grazie alla struttura del DNA, il materiale genetico potesse duplicarsi in modo da trasmettere alle cellule figlie molecole di DNA identiche a quelle presenti nella cellula madre. Questo concetto venne ulteriormente specificato dai due autori nel maggio 1953, sempre su Nature. Una risposta completa sui meccanismi alla base dell’ereditarietà dei caratteri biologici, diventata la base degli studi sulla genetica umana.

La letteratura scientifica ricorda come l’anno 1944 segnò una svolta negli studi sulla ereditarietà delle informazioni genetiche. Fu Erwin Schrodinger a formulare nel saggio dal titolo “What is life?” la tesi che il materiale genetico venisse duplicato fedelmente ad ogni divisione cellulare all’interno del DNA, mentre uno studio condotto da una equipe di biologi dimostrava che l’informazione genetica è contenuta nel DNA.

Nove anni dopo si arrivò alla definizione della struttura del DNA descritta nei tre articoli pubblicati su Nature. Il DNA è una spirale destrorsa composta da due filamenti antiparalleli e tra loro complementari. Ognuno dei due filamenti è un polimero (come una collana di perle è un “polimero” di perle) formato da 4 differenti nucleotidi: Adenina (A) Timidina (T) Citosina (C) e Guanina (G). La sequenza di questi nucleotidi nel filamento definisce l’informazione genica, un po’ come le lettere dell’alfabeto formano le parole.

La definizione della struttura del DNA ha gettato le basi per le moderne biotecnologie e innescato altre scoperte. La prima è stata la decifrazione da parte di Nirenberg e Khorana, Holley (premi Nobel per la Medicina nel 1968) del codice genetico ovvero delle regole che permettono di tradurre l’informazione contenuta nel DNA sotto forma di sequenza di nucleotidi nella sequenza di aminoacidi che costituiscono le proteine. La seconda è stata la metodica per determinare la sequenza di nucleotidi in una molecola di DNA. La tecnica principale, quella che è alla base delle metodiche ancora oggi utilizzate, è stata messa a punto nel 1975 da Frederick Sanger. Per questa scoperta Sanger vinse il premio Nobel per la Medicina nel 1980 dopo aver già vinto quello per la Chimica nel 1958 per il sequenziamento delle proteine. La tecnica usata per sequenziamento del DNA si basa sugli studi sulla biochimica della replicazione del DNA da parte del gruppo di Arhur Kornberg (Nobel per la Medicina nel 1958). Tra gli allievi di Kornberg anche un italiano, il prof. Arturo Falaschi. primo Direttore dell’Istituto di Genetica Biochimica ed Evoluzionistica del CNR a Pavia (ora Istituto di Genetica Molecolare diretto dal prof. Giuseppe Biamonti) che durante tutta la sua lunga carriera scientifica si è occupato di studiare i meccanismi della replicazione del DNA nelle cellule umane.

L’istituto è stato uno dei principali centri in cui si è sviluppata la biologia molecolare e l’ingegneria genetica in Italia negli anni 70 e oggi è uno dei pochi istituti del CNR dove si continua a studiare la biologia molecolare del DNA, particolarmente i meccanismi responsabili di mantenere la stabilità del genoma. Negli anni 80 e 90 il CNR ha favorito in modo importante lo sviluppo della biologia e della genetica molecolare in Italia con i progetti finalizzati “ingegneria genetica” diretto dal Prof. Arturo Falaschi e “genoma umano” diretto dal premio Nobel Prof. Renato Dulbecco tramite il quale l’Italia ha contribuito al sequenziamento del genoma dell’uomo.

“Gli spettacolari sviluppi delle tecnologie del sequenziamento e della manipolazione del DNA (ingegneria genetica) – scrive Giuseppe Biamonti – hanno permesso di identificare i geni che, quando mutati, sono alla base di importanti patologie o di modificare micro-organismi, piante e animali (OGM) sia per scopi medici che alimentari. E negli ultimi anni due nuove frontiere si sono aperte: la biologia sintetica, che si prefigge di manipolare il DNA per sintetizzare funzioni biologiche originali non presenti in natura, e l’uso del DNA per lo sviluppo di nuovi computer e sistemi di immagazzinamento dei dati.

Come nel caso di altre scoperte umane, la fase di comprensione di un fenomeno naturale dovuta alla curiosità umana, ha aperto la strada ad un veloce futuro di applicazioni con ovvie ricadute economiche. La speranza è di riuscire a sfruttare al meglio le nostre conoscenze per il bene del paese. In questo senso possono essere utili i progetti bandiera MIUR/CNR come “Epigen” “Nanomax” e “Interomics” tesi a favorire lo sviluppo di tecnologie adeguate per affrontare problemi moderni della tecnologia del DNA”.

Peraltro, negli ultimi mesi le cronache scientifiche hanno dato risalto alla scoperta dell’italiana Giulia Biffi, ricercatrice a Cambridge, la quale ha provato che il Dna può assumere una forma a quadrupla elica. Una scoperta che apre un nuovo scenario e propone nuovi percorsi di studio ai genetisti.

Per celebrare i 60 anni dalla definizione della struttura del DNA, la SIBBM (Società Italiana di Biofisica e Biologia Molecolare) terrà il suo convegno annuale a Pavia dal 5 al 7 Giugno.