Con osservazioni al Very Large Telescope dell’ESO e al telescopio spaziale Hubble di NASA ed ESA, un team internazionale di astronomi è riuscito a mostrare che, tre miliardi di anni dopo il Big Bang, nelle galassie più massicce la formazione di nuove stelle era quasi completamente terminata nelle loro regioni centrali mentre proseguiva attivamente nella loro periferia. L’arresto della formazione stellare sembra dunque aver avuto inizio nel cuore delle galassie, per poi propagarsi alle regioni più esterne. Lo studio, pubblicato nel numero del 17 aprile della rivista Science, è guidato dagli astronomi Sandro Tacchella e Marcella Carollo, entrambi ricercatori al Politecnico Federale (ETH) di Zurigo, e da Alvio Renzini e Gianni Zamorani, rispettivamente dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova e di Bologna. Coautori dell’articolo sono, sempre dell’INAF, Giovanni Cresci (Osservatorio Astrofisico di Arcetri) e Chiara Mancini (Osservatorio Astronomico di Padova).
Uno fra i più importanti problemi aperti in astrofisica riguarda il modo in cui le galassie ellittiche, le più massicce nell’Universo vicino, abbiano cessato di produrre nuove stelle mentre in tutta evidenza devono averne prodotte a profusione nel loro passato. Tali galassie colossali – dette anche “sferoidi” per la loro forma caratteristica – hanno una massa e una densità di stelle nelle regioni centrali pari a circa dieci volte quelle della nostra galassia, la Via Lattea.
Gli astronomi chiamano “rosse e morte” queste galassie giganti, a sottolineare l’abbondanza in esse di stelle rosse e vecchie di molti miliardi di anni e la mancanza di stelle blu giovani che segnalino processi di formazione stellare in corso. Da una stima dell’età delle stelle rosse si deduce, infatti, che le galassie che le ospitano hanno smesso di produrre nuove stelle circa dieci miliardi di anni fa. Un arresto iniziato, dunque, proprio in concomitanza con l’apice del tasso di formazione stellare nell’Universo, quando molte galassie ancora stavano formando stelle a un ritmo circa venti volte superiore a quello attuale.
«Questi sferoidi, morti e massicci, contengono circa la metà di tutte le stelle che l’Universo ha prodotto nell’intero arco della sua esistenza», spiega Sandro Tacchella dell’ETH di Zurigo, primo autore dello studio appena pubblicato su Science. «Non possiamo affermare d’aver compreso come è evoluto l’Universo e come è diventato come lo vediamo oggi senza aver prima capito come si sono formate queste galassie».
Tacchella e colleghi hanno osservato in tutto 22 galassie, distribuite in un largo intervallo di masse, a un’epoca corrispondente a circa tre miliardi di anni dopo il Big Bang – dunque una decina di miliardi di anni fa, il tempo che la luce proveniente da queste galassie ha impiegato per giungere fino a noi. Questa luce, catturata dallo strumento SINFONI del Very Large Telescope (VLT), ha permesso d’individuare con precisione i luoghi nei quali le nuove stelle stavano formandosi. Un’abilità resa possibile grazie al sistema d’ottica adattiva di SINFONI, in grado d’annullare – o quasi – le distorsioni dovute alla turbolenza dell’atmosfera terrestre.
I ricercatori hanno quindi osservato lo stesso campione di galassie anche con il telescopio spaziale Hubble di NASA ed ESA, che, essendo appunto nello spazio, non risente delle distorsioni introdotte dall’atmosfera del nostro pianeta. La camera WFC3 a bordo del satellite ha scattato immagini nel vicino infrarosso, mettendo in evidenza la distribuzione spaziale delle stelle più vecchie all’interno delle galassie con attività di formazione stellare.
«La cosa sorprendente è come il sistema di ottica adattiva di SINFONI riesca ad abbattere gran parte degli effetti dell’atmosfera e a raccogliere informazioni su dove stanno nascendo nuove stelle. E che riesca a farlo con lo stesso, identico, livello di precisione raggiunto da Hubble nella misura della distribuzione di massa stellare», commenta Marcella Carollo, coautrice dello studio, lei pure all’ETH di Zurigo.
I nuovi dati indicano che le galassie più massicce del campione hanno mantenuto un alto tasso di produzione di nuove stelle nelle regioni periferiche. Nella loro parte centrale, invece, proprio là dove la densità è più alta, la formazione stellare si è già arrestata quasi del tutto.
«Questa progressione dell’arresto della formazione stellare nelle galassie massicce, dall’interno verso l’esterno, può aiutarci a far luce sul meccanismo fisico che provoca lo “spegnimento” della formazione di nuove stelle, sul quale gli astronomi stanno dibattendo da tempo», commenta Alvio Renzini, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova.
Secondo una delle teorie più accreditate, i materiali necessari alla produzione di nuove stelle in queste galassie vengono dispersi ed espulsi dall’enorme energia emessa dal buco nero supermassiccio, al centro della galassia, come questo ingurgita la materia circostante. Secondo un’altra ipotesi è invece l’afflusso di gas fresco verso la galassia che viene a mancare, privandola così del combustibile necessario alla formazione di nuove stelle e trasformandola, appunto, in uno sferoide “rosso e morto”, in cui le stelle già formate invecchiano senza che se ne formino di nuove.
«Diverse sono le teorie sui processi fisici che hanno portato alla cessazione della formazione stellare negli sferoidi massicci» conclude un’altra coautrice, Natascha Förster Schreiber del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik di Garching in Germania. «Scoprire che l’esaurirsi della formazione stellare ha avuto inizio nelle regioni centrali per poi progredire verso l’esterno è un passo molto importante per arrivare a comprendere come l’Universo sia diventato quello che vediamo ora».
Nella foto in evidenza il diagramma illustra il processo: le galassie dell’Universo primordiale sono a sinistra; le zone blu sono quelle in cui la formazione stellare è attiva e quelle rosse sono le zone “morte” in cui rimangono solo le stelle vecchie, più rosse, e non ci sono più stelle giovani e blu in formazione. Le galassie sferoidi giganti che ne risultano nell’Universo moderno sono quelle a destra.
Foto nel corpo dell’articolo: la formazione stellare di quelle che ora sono galassie “morte” ha iniziato a perdere colpi qualche miliardo di anni fa. Il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO e il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA hanno rivelato che tre miliardi di anni dopo il Big Bang queste galassie stavano formando stelle ancora nelle loro periferie, ma non più all’interno. Lo spegnimento della formazione stellare sembra essere iniziato nei nuclei delle galassie e poi essersi esteso alle zone più esterne.
(crediti: ESO)









