L’universo brulica di pianeti extrasolari, alcuni dei quali con caratteristiche chimico-fisiche simili alla Terra e quasi certamente formati da composti chimici e molecolari che sono i mattoni della vita. Ma la ricerca di materia organica più o meno evoluta al di fuori del nostro pianeta non rappresenta una semplice caccia agli alieni, quanto piuttosto uno strumento per comprendere com’è nata e si è evoluta la vita così come la conosciamo e intendiamo e quali forme potrebbero presentarsi indagando su altri mondi, a partire da quelli del nostro sistema solare. A queste domande, complesse e articolate, cerca di rispondere l’astrobiologia, branca scientifica che segna l’evoluzione dell’originaria esobiologia perché racchiude metodi di indagine che non si limitano a guardare oltre la fascia di Kuiper, la regione esterna del sistema solare che racchiude centinaia di asteroidi. Proprio a questi oggetti cosmici primitivi si rivolge in modo particolare l’attenzione di astrofisici e ricercatori che lavorano nel campo delle scienze biologiche, chimiche e fisiche. Non è un caso che il presidente della Società Italiana di Astrobiologia sia il genetista Enzo Gallori dell’Università di Firenze, il quale sottolinea come tutti gli esseri viventi condividono il principio di base della biologia: le cellule hanno una gerarchia, possono replicarsi e trasferire l’informazione contenuta nel DNA. E sull’origine dei primi polimeri sulla Terra primordiale, gli studiosi ritengono che il bombardamento di asteroidi e meteoriti potrebbe aver contribuito a concentrare gli elementi essenziali, ma che ci sia stata anche un’azione protettiva dei filamenti di DNA, assorbiti da particelle minerali e protetti così dall’incidenza letale dei raggi ultravioletti in assenza dello strato di ozono nell’atmosfera in formazione. Insomma, minerali come banche molecolari. Ed è per questo motivo che si va alla ricerca di tracce prebiotiche su Marte e corpi del sistema solare come Titano, ma nel contempo si rincorrono quegli oggetti primitivi come gli asteroidi in grado di farci compiere un viaggio a ritroso nel tempo. Alcuni di essi possono essere comete estinte e come tali interessanti per la ricerca di mattoni primordiali. In generale gli oggetti più interessanti per la ricerca della chimica organica sono ricchi di carbonio, quindi più leggeri, ma che non possono superare la barriera dell’atmosfera terrestre perché destinati a sfaldarsi. Per questo motivo i piccoli meteoriti, che pure cadono con una certa frequenza sulla Terra, conservano solo una parte delle informazioni sulla loro storia. Uno in particolare, caduto nel 1969 a Murchison in Australia e risalente a 4,6 miliardi di anni fa, è stato definito un dono del cielo perché esso ha rivelato di possedere un’enorme varietà di composti a base di carbonio, 70 aminoacidi, acidi carbossilici, basi nucleotidiche, composti organici fosfati e solforati, polioli (zuccheri). Si stima che la quantità di ossigeno sulla Terra presente prima dell’insorgere della vita fosse molto bassa (un miliardesimo del valore attuale), requisito fondamentale per l’ accumulo di molecole organiche prebiotiche, altrimenti soggette a ossidazione. Nadia Balucani, chimica dell’Università di Perugia, è tra le più attive nello studio dell’atmosfera di Titano, che l’astrofisico Carl Sagan definì un laboratorio su scala planetaria per lo studio della chimica prebiotica. L’ipotesi più interessante è che l’atmosfera ricca di azoto del satellite naturale di Saturno, obiettivo della missione Cassini-Huygens dal 2005, avrebbe molte somiglianze con quella primordiale della Terra, compresa la presenza dell’isotopo Argon 40, prodotto dal decadimento radioattivo del potassio.









