La missione STS-51-L del programma Space Shuttle avrebbe dovuto rappresentare un nuovo capitolo dell’era astronautica, con l’esordio in orbita di una insegnante, simbolo dell’avvicinamento della sfera didattica al mondo spaziale. Invece le cose andarono diversamente e, dopo una serie di rinvii, il 28 gennaio 1986 il lancio della navetta Challenger finì in tragedia. Tra i sette membri d’equipaggio c’era la 38enne maestra Sharon Christa McAuliffe, selezionata tra 11000 candidati, che si preparava a trasformare lo shuttle in una speciale aula didattica nell’ambito del programma Teacher in Space, collegandosi via satellite con le aule a terra. La missione era stata accompagnata da una ritrovata eco mediatica, meno di cinque anni dopo l’avvio dell’impiego dei veicoli orbitali riutilizzabili. Il lancio in diretta tv si trasformò in un terribile documento. La fase di salita del Challenger si interruppe 73 secondi dopo il lancio, avvenuto alle 11:39 del mattino dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral. A causare la tragedia e la disintegrazione della navetta, insieme al serbatoio principale di combustibile, un guasto a una guarnizione (chiamata O-ring) del segmento inferiore del razzo a propellente solido. A bordo della navetta, alla sua decima missione, c’erano sette astronauti: il comandante Francis Scobee (47 anni), il pilota Michael Smith (41), gli specialisti di missione Judith Resnik (37), Ronald McNair (36) e Ellison Onizuka (40), lo specialista di carico Gregory Jarvis (42) e, appunto, Sharon Christa McAuliffe, mamma di due bambini, alla quale poi sono stati dedicati l’asteroide 3352 McAuliffe e un cratere lunare di 19 km di diametro. La famiglia della maestra e il mondo della scuola a cui essa apparteneva assistettero dalle tribune del Kennedy Space Center alla deflagrazione nel cielo al largo della costa della Florida. Il presidente USA, Ronald Reagan, decise di rinviare l’annuale discorso sullo stato dell’Unione e annunciò egli stesso il disastro dalla Casa Bianca citando il sonetto “High Flight” di John Gillespie Magee: “Non li dimenticheremo mai, né l’ultima volta che li vedemmo, questa mattina, mentre si preparavano per il loro viaggio, salutavano e “fuggivano dalla scontrosa superficie della Terra” per “sfiorare il volto di Dio”.
Le conseguenze della tragedia determinarono la sospensione delle attività spaziali della NASA, che ripresero solo il 29 settembre 1988 con la missione dello Space Shuttle Discovery denominata “Ritorno al volo” STS-26. Quello del Challenger rimase per 17 anni l’incidente più grave nella storia delle missioni umane nello spazio, pareggiato purtroppo dalla perdita altrettanto tragica del Columbia, esploso il primo febbraio 2003.