Esopianeti con ESPRESSO
Un nuovo, formidabile strumento per scoprire pianeti extrasolari a disposizione degli astronomi. Si chiama ESPRESSO, acronimo di Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanet and Stable Spectroscopic Observations (ovvero Spettrografo echelle per osservazioni di esopianeti rocciosi e spettroscopia ad alta precisione) ed è installato sul telescopio VLT dell’ESO all’Osservatorio del Paranal nel Cile settentrionale. ESPRESSO, che ha visto la sua prima luce a fine novembre 2017, è uno spettrografo di terza generazione e sarà il successore dello strumento HARPS dell’ESO installato all’Osservatorio di La Silla. Il salto in avanti rispetto al predecessore sarà enorme: HARPS raggiunge una precisione di misura delle velocità di circa un metro per secondo, mentre ESPRESSO mira a ottenere una precisione di appena pochi centimetri al secondo, grazie ai progressi tecnologici e all’essere al fuoco di un telescopio molto più grande. Prima la prima volta in assoluto, ESPRESSO sarà in grado di combinare la luce di tutti e quattro i telescopi principali del VLT raggiungendo il potere di raccolta della luce equivalente a quella un singolo telescopio da 16 metri di diametro. Importante la partecipazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica all’ideazione e alla realizzazione dell’ambizioso progetto.
“E stato emozionante essere presente di persona nella notte del 27 Novembre alla acquisizione del primo spettro scientifico con lo spettrografo ESPRESSO a Paranal, emozione resa ancor più forte dall’essere stato parte del team dello strumento, prima di ricoprire il mio incarico attuale” commenta Filippo Maria Zerbi, Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “Il personale INAF ha ancora una volta dimostrato di essere in grado di raccogliere sfide scientifiche e tecnologiche e contribuire in maniera determinante alla realizzazione di strumenti scientifici di assoluta avanguardia. Misure di velocità radiali con accuratezze mai viste prima, stabilità nelle misure in tempi lunghissimi, materializzazione dei fuochi Coudè ed attivazione, per la prima volta nella storia di VLT, del fuoco combinato con le 4 unità in uso contemporaneo. ESPRESSO è uno strumento fuori dal comune e fuori dal comune è stata la sfida decennale per concepirlo, realizzarlo ed infine portarlo pienamente funzionale al telescopio. Congratulazioni e un grande grazie a tutto il team che ha reso questo possibile”. Il responsabile scientifico di ESPRESSO, Francesco Pepe dell’Università di Ginevra in Svizzera, ne parla e spiega l’importanza: “Questo successo è il risultato del lavoro di molte persone nel corso di una decina d’anni. ESPRESSO non è semplicemente l’evoluzione dei nostri strumenti precedenti come HARPS, ma, con la sua elevata risoluzione e una maggior precisione, è veramente rivoluzionario. Diversamente dagli strumenti precedenti, può sfruttare l’intera capacità di raccolta del VLT – può essere usato con tutti e quattro i telescopi principali (UT) del VLT contemporaneamente per simulare un telescopio da 16 metri di diametro. ESPRESSO non avrà rivali per almeno un decennio – e non vedo l’ora di trovare il nostro primo pianeta roccioso!”
ESPRESSO rivela minuscoli cambiamenti nello spettro della stella dovuti al movimento del pianeta che le orbita intorno. Questo metodo, detto delle velocità radiali, funziona perché l’attrazione gravitazionale del pianeta influenza la stella madre, facendola oscillare leggermente. Meno massiccio è il pianeta e più piccola è l’oscillazione: di conseguenza, per trovare pianeti rocciosi, che abbiano anche la possibilità di ospitare la vita, è necessario uno strumento di altissima precisione. Con questo metodo, ESPRESSO sarà in grado di rivelare alcuni dei pianeti più leggeri mai trovati. “Sono frastornato, nonostante sia un astronomo di lungo corso” commenta Stefano Cristiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Trieste, uno dei responsabili del progetto. “La prima luce di ESPRESSO è tante cose allo stesso tempo: emozione, perché è il momento in cui visioni sognate per anni diventano concrete e sugli schermi finalmente appaiono gli spettri degli oggetti così come li avevamo immaginati; fierezza, perché il contributo dell’astrofisica italiana – a partire dal nome dello strumento – ottiene un riconoscimento di grande professionalità; gratitudine, per tutti coloro che hanno lavorato con competenza e dedizione, giorno dopo giorno, in Italia e all’estero; aspettativa, perché ci attende un grande lavoro di analisi dei dati che hanno iniziato ad affluire e nuove scoperte – dai pianeti terrestri a una nuova fisica – sono a portata di mano, e perché questa è anche una tappa fondamentale verso la prossima ambiziosa impresa tecnologica: lo spettrografo HIRES per il telescopio gigante ELT”.
Le osservazioni di prova comprendevano alcune stelle e sistemi planetari noti: il confronto con dati di HARPS mostra che ESPRESSO può ottenere dati di qualità simile con un tempo di esposizione decisamente inferiore. Il responsabile scientifico dello strumento, Gaspare Lo Curto (ESO), è entusiasta: “Portare ESPRESSO a questi traguardi è stato un successo, grazie ai contributi di un consorzio internazionale e di vari e diversi gruppi all’interno dell’ESO: ingegneri, astronomi e amministrazione. Non dovevano semplicemente installare lo spettrografo, ma anche il complesso apparato ottico che combina la luce dei quattro UT del VLT”. Anche se lo scopo principale di ESPRESSO è di spingere la ricerca dei pianeti a un livello superiore – trovare e caratterizzare pianeti meno massicci e le loro atmosfere – ha anche molte altre possibilità di impiego. Sarà lo strumento più potente al mondo per verificare se le costanti della fisica sono cambiate da quando l’Universo era giovane. Questi minuscoli cambiamenti sono previsti da alcune teorie di fisica fondamentale, ma non sono mai stati osservati in modo convincente.
(crediti: Filippo Maria Zerbi)
Sono trascorsi oltre 40 anni dal lancio avvenuto il 5 settembre 1977, ma la sonda Voyager 1 è ancora viva, nonostante la tecnologia obsoleta rispetto a quella che equipaggia i moderni veicoli interplanetari. La NASA ha reso noto di avere inviato un segnale che ha raggiunto la sonda distante da noi 21 miliardi di chilometri. Si è trattato di un semplice comando servito ad attivare i razzi direzionali per una frazione millesimale di un secondo. Quanto è bastato per riposizionare l’assetto e dunque l’antenna del diametro di 3,7 metri orientandola perfettamente verso la Terra. Una manovra estrema, basata su un software usato l’ultima volte nel 1980, il cui successo è stato decretato dal segnale di risposta pervenuto al centro di controllo del JPL di Pasadena, dopo ben 19 ore e 35 minuti.Voyager 1 si allontana alla velocità di 17 chilometri al secondo e da un lustro abbondante si trova nello spazio interstellare, oltre i confini del sistema solare. Ora i tecnici della NASA proveranno a ripetere la manovra con la sonda gemella Voyager 2 che la segue a ruota, ma più distanziata, e si accinge a lasciare a sua volta il sistema solare. Una riprova che la buona tecnologia, anche se antiquata, non smette di funzionare.
Lo spettacolo della Luna che appare al perigeo nella sua interezza è uno dei più seguiti tra i fenomeni celesti, al pari delle eclissi e del periodico appuntamento con gli sciami di meteore che accendono di scintille l’atmosfera nel mese di agosto. Ai fortunati che hanno avuto sulla testa il cielo terso, la sera di domenica 3 dicembre si è manifestata, per l’appunto, l’attesa Luna piena con il suo disco più grande del 7% e nel complesso del 16% più brillante. Ciò in quanto la sua orbita ellittica le ha fatto raggiungere la distanza minima di 357.492 chilometri dalla Terra, ben al di sotto di quella media che si attesta a 382.900 chilometri, e tale da ripagare la visione che ne abbiamo quando all’apogeo si allontana a 406.603 chilometri. La luna ingigantita del cielo serale non è stata vista al suo massimo, che invece è stato raggiunto alle 9:45 di lunedì 4 dicembre. Quindi, abbiamo avuto lo straordinario sorgere della superluna piena al tramonto del sole e l’altrettanto suggestiva immagine all’alba, al levarsi del sole.

Continua il successo della nuova edizione del bestseller Volare, scritto dall’astronauta italiano Luca Parmitano, edito da RAI Eri. Partito il 28 maggio 2013, il Maggiore Pilota Luca Parmitano, astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), è rimasto a bordo della Stazione Spaziale Internazionale per 166 giorni, diventando il primo italiano a effettuare un’attività extraveicolare e riuscendo a gestire una situazione critica durante la seconda uscita nel vuoto a causa del malfunzionamento di una pompa all’interno della tuta. Parmitano ha fatto suo il desiderio di rendere partecipe il pubblico del senso del “meraviglioso” che ha provato durante la sua missione, raccontando cosa significhi andare nello spazio, cosa si prova a fluttuare nel vuoto e come questa situazione richieda un notevole spirito di adattamento. Dopo la prima esperienza in orbita, Parmitano è tornato protagonista di numerose altre missioni non solo nello spazio ma anche nelle profondità del mare e della terra. Nella nuova edizione trovano posto le imprese vissute nei panni di un moderno Capitan Nemo, in una stazione di ricerca al largo delle coste della Florida in una simil–astronave a 20 metri di profondità, dove si prova una gravità simile a quella di Marte o della Luna, per testare strumenti e tecniche o quella che ha portato l’astronauta e pilota dell’Aeronautica militare nelle profondità delle grotte della Sardegna: due settimane di totale isolamento per sperimentare come il fisico umano si adatti a vivere in condizioni estreme. Un libro di esplorazione che offre spunti di riflessione alla scoperta delle frontiere della scienza. Quello di Parmitano è il racconto del viaggio più incredibile che si possa fare: quello che permette di vedere l’umanità “da fuori”, di volgere lo sguardo sul nostro mondo da un punto di osservazione privilegiato, ripensare al nostro rapporto con il pianeta terra.








