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Oxia Planum scolpita dai venti

Oxia Planum scolpita dai venti

Non solo l’acqua, che in passato scorreva copiosa, ha modellato Oxia Planum, la regione del pianeta Marte selezionata per questa sua caratteristica come sito di atterraggio della futura missione ExoMars dell’Agenzia Spaziale Europea e Russa. Un nuovo studio su Oxia Planum guidato da Simone Silvestro, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), mostra evidenze di un cambiamento del regime dei venti avvenuto nell’ultimo periodo geologico del pianeta, l’Amazoniano, vale a dire negli ultimi tre miliardi di anni della storia del Pianeta rosso, i cui effetti sono oggi visibili nelle immagini delle rocce erose e delle sabbie presenti nella zona. Oxia Planum, situata in prossimità dell’equatore marziano, mostra segni geologici e mineralogici di due distinte epoche in cui l’acqua era presente in superficie nella cosiddetta era Noachiana, riconducibile a un intervallo di tempo compreso tra 4,1 e 3,7 miliardi di anni fa. Vista la mancanza di acqua in superficie durante l’Amazoniano, il vento è ed è stato il principale agente di modificazione della superficie. Le ipotesi formulate dal gruppo di ricerca dell’INAF potranno essere testate direttamente dalla missione ExoMars e potranno essere d’aiuto nell’interpretazione della geologia del sito di atterraggio, analogamente a quanto avvenuto per il rover Curiosity della NASA nel cratere Gale. La strumentazione meteorologica a bordo della piattaforma fissa di ExoMars che si poserà sulla superficie del pianeta permetterà di ricostruire in maggior dettaglio l’attuale regime dei venti in quella regione e, di riflesso, aiuterà gli scienziati a comprendere meglio la portata del cambiamento climatico descritto in questo studio.

Athena ottica ”X” tutta italiana

Athena ottica ”X” tutta italiana

Thales Alenia Space ha siglato un contratto con l’Agenzia Spaziale Europea del valore di 2,8 milioni di euro per lo studio, la progettazione, la produzione e test del Dimostratore del Modulo Ottico (Mirror Assembly Module Demonstrator ) per ATHENA.

ATHENA (Advanced Telescope for High ENergy Astrophysics) è la seconda missione di grandi dimensioni del programma Science Cosmic Vision di ESA, che si concentrerà sui processi più energetici dell’universo Lo scopo di questa missione è comprendere come la materia ordinaria si assembli nelle strutture su larga scala che vediamo oggi e come i buchi neri crescano e diano forma all’Universo.

Per rispondere alla prima domanda sarà necessario mappare le strutture dei gas caldi nell’Universo, in particolare negli ammassi e nei gruppi di galassie e nel mezzo intergalattico, determinandone le proprietà fisiche e tracciandone la loro evoluzione attraverso il tempo cosmico. Per rispondere alla seconda domanda, si dovranno svelare i buchi neri supermassivi (SMBH) risalendo nell’oscuro universo primordiale, e si dovrà quindi comprendere il meccanismo del loro accrescimento attraverso gli afflussi e i deflussi di materia ed energia.

Con un lancio previsto per il 2032, ATHENA sarà capace di risalire più in profondità nel cosmo essendo da 10 a 100 volte più sensibile rispetto alle precedenti missioni a raggi X. Per vincere questa sfida la missione richiede tecnologia ottica a raggi X del tutto innovativa.

In questo ambito, lo specchio ATHENA sarà l’ottica a raggi X più grande mai costruita: il conseguimento di questi obiettivi molto impegnativi richiede infatti una grande area efficace, nella sua banda di osservazione. Pertanto, le ottiche del telescopio dovranno essere in grado di raccogliere e concentrare i raggi X attraverso un’ampia struttura circolare di circa 2,5 metri di diametro. Nella struttura dello specchio saranno integrati ed allineati 600 moduli, basati sulla innovativa tecnologia al silicio – Silicon Pore Optics (SPO). La struttura dovrà inoltre essere rigida ed estremamente stabile per soddisfare le prestazioni ottiche scientifiche. Lo specchio verrà poi puntato verso i due diversi strumenti mediante un sistema di guida complesso e molto accurato.

Thales Alenia Space è il prime contractor per l’attività che si concentrerà sulla progettazione, sviluppo e test di un Dimostratore del Modulo Ottico in scala reale nell’arco dei prossimi 20 mesi e che consentirà la verifica delle sue funzioni critiche prima dell’adozione della missione.

Congiunzione Giove-Saturno

Congiunzione Giove-Saturno

Appuntamento lunedì 21 dicembre con lo spettacolo astronomico dell’anno, la congiunzione astrale dei pianeti Giove e Saturno osservata l’ultima volta da Galileo Galilei e Keplero nel 1623. Un evento che si verifica con una frequenza di vent’anni circa, ma una congiunzione così ravvicinata, tanto più visibile a occhio nudo, non si verificava da 800 anni circa, per l’esattezza dal 4 marzo 1226. Bisognerà attendere addirittura il 15 marzo 2080 per assistere a qualcosa di simile, mai però quanto l’evento odierno. Tramontato il sole, i due grandi pianeti hanno iniziato la loro apparente danza di avvicinamento prospettico che li rende in apparenza un astro unico. Si manifestano così, benché distanti centinaia di milioni di km (Giove 800 milioni, Saturno 1,5 miliardi), essendo separati da un decimo di grado. Molti scienziati che sia stata proprio questa congiunzione, tra gli anni 7 e 6 avanti Cristo, a guidare i Re Magi, che erano astronomi, verso Betlemme.

Ariel a caccia di esopianeti

Ariel a caccia di esopianeti

Dopo un periodo di studio preliminare di cinque anni, inizia a concretizzarsi la missione Ariel (Atmospheric Remote-Sensing Infrared Exoplanet Large-survey), selezionata nel 2018 e oggi ufficialmente ‘adottata’ dallo Space Programme Committee dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Nei prossimi mesi, l’ESA inviterà le aziende del settore a presentare proposte per la realizzazione del veicolo spaziale, con l’assegnazione del contratto industriale attesa per la prossima estate. Dedicata allo studio delle atmosfere di pianeti in orbita intorno a stelle diverse dal Sole, Ariel (terza missione dell’ESA, dopo CHEOPS e PLATO, dedicata allo studio dei pianeti extra-solari) osserverà un campione variegato di esopianeti ‒ da giganti gassosi a pianeti di tipo nettuniano, super-Terre e pianeti terrestri ‒ nelle frequenze della luce visibile e dell’infrarosso. Sarà la prima missione spaziale a realizzare un ‘censimento’ della composizione chimica delle atmosfere planetarie, fornendo indizi fondamentali per comprendere i meccanismi di formazione ed evoluzione dei pianeti al di là del Sistema solare, inquadrare a pieno il ruolo del nostro sistema planetario nel contesto cosmico, e affrontare i complessi quesiti riguardanti l’origine della vita nell’Universo. Ariel sarà lanciato con un razzo Ariane 6 dalla base ESA di Kourou, nella Guyana francese, e messo in orbita intorno al punto di Lagrange 2 (L2), un punto di equilibrio gravitazionale a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra, nella direzione opposta a quella del Sole. Tra i principali contributori della missione due Co-Principal Investigators, Giusi Micela dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Palermo e Giuseppe Malaguti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica di Bologna, l’Università di Firenze, dove si trova Emanuele Pace, Project Manager nazionale della missione, l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR di Padova e l’Università Sapienza di Roma.

Osiris Rex sull’asteroide

Osiris Rex sull’asteroide

Nella notte fra martedì 20 e mercoledì 21 ottobre la sonda Osiris-Rex della NASA ha effettuato la discesa sulla superficie dell’asteroide Bennu, raggiunto il 3 dicembre 2018, per raccogliere un campione di materiale e riportarlo a Terra. Un’impresa seconda solo a quella realizzata dalla sonda giapponese Hayabusa 2  che nel 2019 è riuscita a prevelare materiale dall’asteroide 162173 Ryugu. L’obiettivo della missione è recuperare un campione incontaminato di regolite carbonacea dalla superficie dell’asteroide, per rispondere a diverse domande sulla composizione e sulla formazione del Sistema solare.

Le immagini della superficie di Bennu riprese dalla sonda della NASA hanno rivelato una superficie rocciosa disseminata di massi. Osiris-Rex ha fotografato e scansionato in lungo e in largo la sua superficie, utilizzando Ola, un altimetro laser, e la camera 3D, er arrivare a individuare il sito da cui verrà prelevato il campione del materiale, denominato Nightingale (usignolo). Poco prima delle ore 20 (ora italiana) si sono accesi i propulsori del veicolo spaziale per portare Osiris-Rex fuori dalla sua orbita attorno a Bennu e condurlo con grande precisione verso la superficie. Per guidare correttamente la discesa è stata predisposta la cosiddetta “mappa dei rischi”, ovvero una rappresentazione dettagliata del sito di campionamento con le aree che possono presentare un rischio per il veicolo.

Il meccanismo di acquisizione dei campioni, Tagsam (Touch-And-Go-Sample Acquisition Mechanism), è agganciato all’estremità di un braccio lungo oltre tre metri ed è progettato per raccogliere materiale a grana fine ma è anche in grado di prelevare sassolini di quasi due centimetri. È inoltre capace di raccogliere una quantità di materiale di circa 150 grammi, e in condizioni ottimali potrebbe arrivare addirittura a 1,8 kg.

Alle 00:12 (ora italiana) del 21 ottobre il momento clou della missione, ovvero la manovra di touch-and-go per un contatto con la superficie di Bennu di circa dieci secondi. A una delle tre bombole di azoto presenti a bordo il compito di sollevare la regolite da aspirare all’interno della sonda. «L’obiettivo è raccogliere almeno sessanta grammi effettivi di materiale. Nel caso il quantitativo fosse inferiore, valuteremo con la Nasa lo stato del veicolo e la possibilità di effettuare un secondo touch and go».

In caso di risultato insufficiente, la sonda potrebbe infatti effettuare più tentativi di campionamento, grazie alla dotazione di tre bombole di azoto gassoso. Se, come si spera, il campione raccolto dovesse andare bene, la sonda con il prezioso materiale verrà sigillata e preparata per il ritorno sulla Terra, previsto nel 2023.

 

Prima scoperta di Cheops

Prima scoperta di Cheops

Caccia grossa per CHEOPS. La missione dell’Agenzia Spaziale Europea ha scovato un vicino sistema planetario che ospita uno dei pianeti extrasolari più caldi ed estremi finora conosciuti: WASP-189 b. Si tratta della prima scoperta della missione che dimostra l’abilità unica della sonda europea di far luce sull’Universo che ci circonda, rivelando i segreti di questi lontani mondi alieni. Lanciata lo scorso dicembre, CHEOPS è stata progettata per l’osservazione e la caratterizzazione di esopianeti di piccole dimensioni che transitano davanti alla loro stella madre. La missione vede un’importante partecipazione dell’Italia, con l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), l’Università di Padova e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). L’accuratezza delle osservazioni è resa possibile grazie alla strumentazione di bordo, che comprende un telescopio high-tech progettato e realizzato in Italia. Un telescopio che riesce a percepire la piccolissima variazione di luminosità delle stelle durante il passaggio dei pianeti davanti ad esse, con una precisione di appena qualche decina di parte per milione.

La recente scoperta riguarda un esopianeta gioviano ultra-caldo, ovvero un pianeta extrasolare la cui massa è confrontabile o superiore a quella di Giove, ma che, a differenza di quanto avviene nel Sistema solare, orbita molto vicino alla propria stella madre. WASP-189 b si trova venti volte più vicino alla sua stella rispetto alla distanza Terra-Sole e completa un’orbita in soli 2,7 giorni. La sua stella ospite oltre ad essere più grande è anche 2200 gradi più calda del Sole. Per questo motivo la temperatura del mondo alieno è estremamente alta e raggiunge i 3200 gradi; a tali temperature, anche metalli come il ferro si sciolgono e si trasformano in gas, rendendo l’esopianeta chiaramente inabitabile. Per caratterizzare il sistema planetario, CHEOPS ha osservato il transito di WASP-189 b davanti alla sua stella. I transiti possono rivelare molto sulle dimensioni, la forma e le caratteristiche orbitali di un pianeta.

“La caratterizzazione del sistema planetario WASP-189 da parte della sonda CHEOPS è stata un’occasione preziosa per mettere in mostra le sue capacità” – dice Mario Salatti, responsabile ASI per la realizzazione del telescopio di CHEOPS – “Il fotometro di bordo ha misurato accuratamente la variazione di luminosità del sistema stella/pianeta durante il transito e a cavallo dell’occultazione (quando il pianeta è passato dietro la stella) permettendo quindi di stimare anche la temperatura superficiale del pianeta”.Grazie a queste osservazioni, gli scienziati hanno scoperto che l’orbita di WASP-189 b è inclinata e che il pianeta sembra essere più grande di quanto si pensasse, quasi 1,6 volte il raggio di Giove. La stella, invece, ha rivelato un aspetto asimmetrico, non perfettamente rotondo, e risulta essere più grande e più fredda all’equatore rispetto ai poli.

“Dopo cinque mesi di osservazioni scientifiche, questo è il  primo lavoro a essere pubblicato ma sarà presto seguito da altri” dice Isabella Pagano, dell’INAF di Catania, responsabile in Italia per CHEOPS. “Siamo coinvolti proprio in questi giorni nella riunione del Team Scientifico della missione, dove si sta facendo il punto sui molteplici risultati ottenuti dalle osservazioni condotte fino ad oggi. Non è possibile anticipare nulla se non che lo strumento funziona molto bene e ci dà soddisfazione. Quindi, come si dice, ‘stay tuned’!”.

La missione CHEOPS nasce dalla collaborazione di scienziati e ingegneri, istituti di ricerca, università e industrie, di undici paesi europei guidati dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dalla Svizzera. L’Italia, anche grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), ha un ruolo di primaria importanza in CHEOPS, sia per il contributo allo strumento sia per l’apporto scientifico. I ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica  (INAF) a Catania e a Padova hanno elaborato il progetto ottico del telescopio, e affiancato l’industria selezionata dall’ASI – un raggruppamento temporaneo di imprese formato da Leonado SrL, Thales Italia e MediaLario – per la realizzazione degli specchi, dell’ottica di back-end, e per le operazioni di integrazione, allineamento e test del telescopio, il cui modello di volo è stato consegnato al Consorzio Cheops – capitanato dall’Università di Berna – nel maggio del 2017.