Venerdì 15 febbraio, alle 20:26 ora italiana, un asteroide lungo 45 metri e con una massa di 130 tonnellate sfiorerà il nostro pianeta transitando a una distanza minima di 27mila km, vale a dire più basso dell’orbita geostazionaria dove si trovano i grandi satelliti per telecomunicazioni e meteorologici. In principio si era temuto che l’asteroide “2012 DA 14” potesse intersecare la quota di 36mila km. Nessun pericolo d’impatto con la Terra, sotto osservazione e continuamente monitorata la traiettoria del corpo celeste. Il suo passaggio avverrà più in basso rispetto alla linea di circonferenza dell’orbita geostazionaria dove si trovano 432 satelliti attivi, sia civili che militari, oltre a quelli che hanno cessato di funzionare. L’asteroide «2012 DA 14» è stato scoperto appena un anno fa dall’Osservatorio astronomico di La Sagra in Spagna. Il suo moto di rivoluzione intorno al Sole è pressoché uguale a quello della Terra, dal momento che compie un giro completo in 366 giorni. Il suo prossimo passaggio è previsto nel 2020 e anche in quella data il pericolo d’impatto appare scongiurato. Laddove il cielo serale di venerdì 15 febbraio risulterà sgombro da nubi, l’asteroide potrà essere osservato anche con un binocolo.
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L’ultima stima effettuata dalla NASA in base alle osservazioni del satellite Wise, i corpi celesti potenzialmente pericolosi, avendo un diametro di cento metri e più, sono poco meno di 5.000 ma il censimento è destinato ad accrescerne il numero, probabilmente fino a triplicarlo. Negli ultimi tempi le attenzioni maggiori si sono concentrate sull’asteroide Apophis, che dopo essere transitato a una distanza di 15 milioni di chilometri dalla Terra il 9 gennaio scorso, tornerà dalle nostre parti nel 2036. Per fortuna, il Near-Earth Object Program Office che opera al Jet Propulsion Laboratory della NASA è in grado di escludere rischi d’impatto anche al prossimo passaggio.
La NASA ha reso omaggio all’equipaggio dello Space Shuttle Columbia nel decennale del disastro che comportò la distruzione della navetta nella fase di rientro in atmosfera. Era il 1 febbraio 2003, data che è diventata la Giornata della Memoria dell’Agenzia Spaziale Americana, in cui sono stati ricordati anche i tre astronauti di Apollo 1 e quelli dello Space Shuttle Challenger, esploso duranta la fase di decollo nel gennaio 1985. Il Giorno del Ricordo, Day of Remembrance, rende onore ai membri delle famiglie della NASA che hanno perso i loro cari nelle missioni spaziali. La cerimonia ha avuto luogo all’Arlington National Cemetery alla presenza dell’amministratore della NASA, Charles Bolden e allo Space Mirror Memorial che si trova al Kennedy Space Center Visitor Complex, in Florida.
La missione STS 107 del Columbia iniziata con il lancio nel Gennaio del 2003 si concluse con la distegrazione dello Shuttle nella fase di rientro a Terra. A bordo, insieme al comandante Rick Husband,c’erano il pilota William McCool, gli specialisti di missione Laurel Clark, David Brow, il primo astronauta israeliano Ilan Ramon e l’altra specialista di missione Kalpana Chawla..
Dello Shuttle e dei suoi sette astronauti non rimase nulla,solo una miriade di frammenti (2000 circa) disseminati per una vasta area che andava dal Texas alla Luisiana. Il problema che segnò il tragico destino del Columbia si presentò durante le fasi della partenza, quando un frammento di schiuma isolante che si era staccato dal serbatoio esterno andò a colpire l’ala sinistra, danneggiandola irreparabilmente. Al momento del rientro, la rottura dello scudo termico dell’ala fece cambiare l’assetto dello space shuttle con conseguente cedimento strutturale. Un incidente che tenne a terra per oltre due anni le navette americane e costrinse a rivedere tutti i criteri di sicurezza delle missioni spaziali.
Fu Eileen Collins, comandante dello shuttle Discovery nel 2005, a riportare in orbita la navetta dopo l’incidente del Columbia. Collins è stata tra gli speaker della cerimonia il NASA, insieme a Evelyn Husband-Thompson, vedova del Col. Rick Husband, comandante dell’ultima, tragica missione dello space shuttle Columbia, e alcuni dei vertici della NASA: Associate Administrator Robert Lightfoot, Associate Administrator; William Gerstenmaier, Amministratore associato della NASA per l’esplorazione umana e per le operazioni; Robert Cabana, Direttore del Kennedy Space Center della NASA; Thad Altman, presidente and chief executive officer dell’Astronauts Memorial Foundation; Jon McBride, Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Astronauts Memorial Foundation; Mick Ukleja, Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Astronauts Memorial Foundation.
Oltre mezzo secolo dopo l’invio dei primi animali nello spazio, nelle missioni propedeutiche alle missioni umane in orbita, l’Iran lanciato un veicolo che, spinto da un razzo vettore che celerebbe le capacità balistiche raggiunte dal Paese, ha raggiunto la quota di 120 km prima di fare rientro e riportare a terra la scimmia che era a bordo. Il primo mammifero a volare nello spazio fu la cagnetta Laika, lanciata dall’Unione Sovietica il 3 novembre 1957. Secondo i programmi di Teheran, i primi astronauti iraniani dovrebbero volare entro la fine di questo decennio. Il razzo Kavoshghar 5 che ha spinto la capsula Pishgam (Pioniere) del peso di 285 kg con la scimmia oltre l’atmosfera avrebbe tutte le caratteristiche del missile a lungo raggio impiegabili per recare nell’ogiva una testata nucleare. Un sospetto che da solo basta per alzare il livello di attenzione sui programmi dell’Iran in campo spaziale e missilistico. Nel 2011 un’analoga missione era fallita, ma il Paese arabo ha allenato cinque scimmie da impiegare in missioni propedeutiche al lancio di astronauti. Il programma spaziale iraniano è diretto da Hamid Fazeli, il quale ritiene che la prima missione umana potrebbe svolgersi nel 2018. Dopo Russia, Stati Uniti, Unione Europea, Cina e India, anche l’Iran aspira e si appresta a entrare nel rispetto club delle potenze spaziali.
L’asteroide 4179 Toutatis è a una distanza di assoluta sicurezza dalla Terra. La distanza minima che lo separa dalla Terra al momento del passaggio ravvicinato, alle ore 7:40 del mattino di mercoledì 12 Dicembre 2012, è stata calcolata in 6,9 milioni di chilometri. Dunque, nessun rischio di impatto. L’asteroide, che ha una lunghezza di 4,6 chilometri ed è largo 2,4, è stato avvistato la prima volta il 10 febbraio 1934 e poi nuovamente il 4 gennaio 1989. Il suo nome deriva dalla divinità della guerra, della fertilità e della ricchezza, appartenente della mitologia celtica. Ha un periodo di rotazione attorno al suo asse lungo di 5,38 giorni. All’epoca del suo riavvistamento nel 1989 gli astronomi lo classificarono tra quelli potenzialmente pericolosi. Sono considerati tali, infatti, quelli che si trovano ad una distanza minima dalla Terra inferiore a 7,4 milioni di chilometri e con un diametro superiore a 150 metri. Il 29 settembre 2004 si è registrato il passaggio più vicino al nostro pianeta, circa 1,5 milioni di chilometri. Secondo i calcoli, nei prossimi 600 anni le probabilità di impatto di Toutatis con la Terra sono pressoché nulle.
Il passaggio dell’asteroide sarà osservato dalla sonda cinese Chang’e 2, che si trova in orbita lunare ed è stata spostata per consentire di fotografarlo.
Chi possiede telescopio, nuvole permettendo, può puntare lo strumento ottico verso sud, fra le costellazioni dei Pesci e della Balena.
Il transito di Toutatis può essere seguito in diretta su VIRTUAL TELESCOPE
In un video di circa mezz’ora la NASA raccolta l’ultima volta dell’uomo sulla Luna. La missione Apollo 17 venne lanciata il 7 dicembre 1972 dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral in Florida, con a bordo gli astronauti Eugene Cernan, Ron Evans e Jack Schmitt, geologo e unico scienziato a partecipare al programma di esplorazione lunare. Cernan e Schmitt sbarcarono nella valle Taurus-Littrow, vicino al mare della Serenità, sulla faccia visibile del nostro satellite naturale. Il sito di allunaggio venne scelto perché i depositi rocciosi furono ritenuti più interessanti, per la presenza sia di materiale risalente all’epoca di formazione che più recente.
Mentre Evans rimase in orbita lunare a bordo del Modulo di Comando, Cernan e Schmitt si fermarono poco più di tre giorni sulla superficie lunare, impiegando il rover lunare come nelle precedenti missioni Apollo 15 e 16 e percorrendo 33 km e 800 metri sulle quattro ruote. Quella di Apollo 17 è considerata la missione più interessante dal punto di vista scientifico, tra le sei che hanno trasportato uomini sulla Luna (Apollo 13 fallì con il rientro fortunoso dell’equipaggio, mentre le prime quattro del programma furono propedeutiche alla serie di allunaggi). Gli astronauti riportarono a terra oltre 110 kg di campioni lunari, stabilirono il record di permanenza sulla superficie selenita con un totale di 75 ore, di cui 22 ore e 4 minuti di attività extraveicolare.
C’era grande attesa per l’annuncio che la Nasa avrebbe dato in relazione a un’importante scoperta scaturita nel corso della missione del rover Curiosity sulla superficie di Marte. La conferenza stampa, svoltasi alle 18 italiane di lunedì 3 dicembre nella sede della Società Geofisica Americana a San Francisco, ha svelato ciò che più realisticamente si riteneva fosse emerso dalle analisi del terreno marziano. Ovvero tracce di acqua più ricca di quella presente sulla Terra, in cui sono presenti composti prevalenti come deuterio, zolfo e cloro insieme a molecole organiche elementari, certamente non di tipo biologico. Il bilancio dei primi cento giorni della missione Curiosity, dal costo di 2,6 miliardi di dollari, è sicuramente soddisfacente per il mondo scientifico che attende riscontri sulla presenza di un elemento base come l’acqua, non per chi si sarebbe aspettato la conferma di tracce di vita riesumate dal passato del Pianeta Rosso. In effetti John Grotzinger, a capo del team di ricerca scientifica della missione Curiosity, si era fin troppo sbilanciato parlando di scoperta epocale. Tuttavia, il punto di vista di uno scienziato può non essere lo stesso di un osservatore comune. Per cui le analisi chimico-fisiche nel cratere Gale, dove il rover scandaglia con il suo braccio robotico, hanno rilevato tutta la loro importanza, pur senza trovare traccia di molecole organiche complesse.
Resta in pista la missione europea Exomars, che prevede l’invio di una prima sonda nel 2016 e lo sbarco di un rover nel 2018 che sarà dotato di un sistema di perforazione capace di spingersi due metri sotto la superficie, dove potrebbero conservarsi indizi di forme organiche sopravvissute al tempo e all’azione dei raggi cosmici.
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