da Sorrentino | Lug 18, 2016 | Lanci, Missioni, Primo Piano, Stazione Spaziale

Due navicelle cargo sono partite a distanza di 24 ore per raggiungere e rifornire la stazione spaziale internazionale. Progress MS-3 è decollata su un razzo vettore Soyuz U dal cosmodromo di Baikonur. Dopo circa nove minuti si è separata con successo dall’ultimo stadio del razzo e si è immessa sulla sua rotta che prevede l’aggancio dopo due giorni di viaggio. Rispetto alla rotta veloce, che richiede sei ora di volo, il cargo Progress MS-3 è segue la rotta già utilizzata dai precedenti Progress MS-1 e MS-2 e per la Soyuz MS-01. La missione della navicella spaziale Progress MS-3 fa parte del programma di rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale ed è la terza a impiegare la nuova versione del cargo spaziale Progress. L’agenzia spaziale russa Roscosmos ha già applicato i nuovi sistemi anche alla navicella Soyuz per il trasporto di personale con la missione partita il 6 luglio 2016. Il cargo spaziale Progress MS-3 trasporta un totale di circa 2,4 tonnellate di rifornimenti di vario tipo tra cibo, acqua, aria, ossigeno, propellente e altro ancora. Ci sono anche vari esperimenti scientifici, strumenti, hardware vario e una serie di nanosatelliti di classe CubeSat da mettere in orbita. Solitamente i nanosatelliti vengono lanciati dalla Stazione Spaziale Internazionale ma in questa missione verrà usato per la prima volta il nuovo sistema di lancio diretto dal cargo Progress MS-3. Quattro contenitori sono installati sulla parte esterna della navicella con una capacità totale di 24 unità CubeSat di 10 cm di lato.
Lunedì 18 luglio è partita da Cape Canaveral la navetta cargo Dragon, con un carico di 2,2 tonnellate, lanciata da un razzo Falcon 9 della SpaceX. Il razzo è successivamente atterrato a poca distanza dal sito di lancio e sarà riutilizzato. Il cargo contiene rifornimenti per gli astronauti e alcuni strumenti scientifici, come una macchina per la sequenza del Dna. Un’altra navetta, lanciata dalla Russia, dovrebbe arrivare alla Stazione nelle prossime ore. Il razzo Falcon 9 è decollato come previsto alle 6:45 (ora italiana) dalla Florida. Il primo modulo del razzo si è separato 2,3 minuti dopo il decollo prima di tornare nell’atmosfera frenando la sua discesa grazie ai motori sul blocco posteriore, fino a posarsi al suolo a circa tre chilometri di distanza dal luogo del decollo. Si tratta del quinto successo della manovra di atterraggio del razzo, riuscita una volta al suolo e tre volte su una piattaforma marina galleggiante nel corso del 2015.
da Sorrentino | Lug 13, 2016 | Industria, Missioni, Primo Piano
Sarà di progettazione italiana il più grande generatore fotovoltaico mai sviluppato per missioni di esplorazione planetaria e volerà fino a oltre 750 milioni di chilometri dal sole, a bordo della sonda JUICE nel suo viaggio alla scoperta dei segreti di Giove e delle sue lune, che potrebbero ospitare la vita. Dieci pannelli solari per un totale di 97 metri quadrati è il nuovo primato da raggiungere, affidato da Airbus Defence & Space a Leonardo-Finmeccanica. Dopo il record di 64 metri quadrati dei pannelli della sonda Rosetta, che ha permesso a un veicolo costruito dall’uomo di approdare sul nucleo di una cometa, questo nuovo primato conferma il ruolo di primo piano del gruppo industriale italiano nel mercato degli equipaggiamenti e sensori hi-tech per lo spazio. Programmata per essere lanciata nel 2022 e per raggiungere Giove nell’ottobre 2029, la sonda JUICE (JUpiter ICy moon Explorer) verrà realizzata da Airbus Defence & Space in qualità di prime contractor. La missione dell’Agenzia Spaziale Europea, che vede un importante coinvolgimento dell’Italia e in particolare dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), studierà Giove e le sue grandi lune ghiacciate – Ganimede, Callisto ed Europa – scoperte da Galileo Galilei nel 1610 e ritenute di grande interesse per la presenza di vasti oceani sotto la loro superficie ghiacciata. Ne verranno esplorate la superficie e gli strati interni, investigando se possano ospitare condizioni favorevoli alla vita. In particolare, Leonardo utilizzerà celle solari all’Arseniuro di Gallio (GaAs), un cristallo che converte la luce solare in corrente elettrica, ottimizzate per condizioni di bassa intensità di illuminazione e bassa temperatura, sviluppando pannelli in grado di alimentare la sonda anche quando la luce solare, a causa della grande distanza, sarà meno di un venticinquesimo di quella che arriva sulla Terra, e il pannello solare sarà a -230°C. I generatori fotovoltaici non sono l’unico contributo di Leonardo a JUICE: l’azienda partecipa alla realizzazione dello strumento JANUS – finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana e sviluppato da un team internazionale sotto la guida dell’Università Parthenope di Napoli e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – camera ad alta definizione che permetterà di esplorare Giove, le sue grandi lune e il sistema di anelli del pianeta. L’azienda collabora anche allo spettrometro MAJIS, realizzato sotto la guida dell’Istituto di Astrofisica Spaziale francese (IAS) e sviluppato da un team internazionale con la partecipazione dell’INAF e il supporto di ASI.
da Sorrentino | Lug 5, 2016 | Attualità, Missioni, Primo Piano
La sonda Juno è entrata nell’orbita di Giove, eseguendo alla perfezione le manovre prescritte. Un successo pieno nel momento più delicato della missione, ovvero l’avvicinamento al grande pianeta gassoso. Juno è riuscita a gestire l’attrazione esercitata dal gigantesco campo gravitazionale di Giove, attraverso una serie di manovre complesse pianificate dal team del Jet Propulsion Laboratory della NASA e avviate nella serata dell’Indipendence Day americano, quando in Italia erano le 3:16 di martedì 5 luglio. Juno ha abbandonato la posizione di crociera, con i pannelli fotovoltaici orientati verso il Sole, e si è disposta per l’ingresso nell’orbita di Giove. Alle 4:41 la sonda ha iniziato a trasmettere attraverso la sua antenna a basso guadagno, ricevendo e inviando i segnali di controllo e aggiornamento dello stato della missione per tutto il periodo di inserimento in orbita. Alle 4:56 la velocità di rotazione attorno all’asse principale è stata aumentata da due a cinque rotazioni al minuto, allo scopo di stabilizzare il veicolo e agevolare la manovra in corso. Alle 5:18 è stato acceso il motore principale della sonda per ridurre la velocità a 1.950 km/h e fare in modo che Juno potesse essere catturata dalla gravità gioviana. Alle 5:55 la velocità di rotazione è stata riportata da cinque a due giri al minuto. Alle 6:07 la sonda è tornata a orientare i tre pannelli fotovoltaici in direzione del Sole. Alle 6:11 il flusso di comunicazioni è stato trasferito dall’antenna a basso guadagno all’antenna a medio guadagno. Cinque minuti dopo Juno ha ricominciato a trasmettere i segnali telemetrici, tenuto conto che il ritardo dovuto alla distanza tra Giove e la Terra è di 48 minuti. Negli USA è ancora il 4 luglio quando nel centro di controllo del JPL di Pasadena si esclama “Welcome to Jupiter”, che rende ufficiale il successo della manovra di inserimento in orbita. Una procedura che ha vissuto i momenti più delicati quando Juno ha dovuto “rallentare” la sua velocità da oltre 200mila km/orari a poco meno di 2mila; una frenata durata 35 minuti, che ha permesso alla sonda di tracciare alla perfezione il suo cammino intorno al pianeta gigante seguendo un’orbita di 53 giorni e mezzo. Juno tornerà ad avvicinarsi a Giove nel mese di agosto, quando sarà al perielio, per poi stabilizzare il periodo a 14 giorni ma sempre seguendo orbite fortemente ellittiche per consentire avvicinamenti estremi al pianeta, a 4.184 chilometri di quota. Una distanza minima mai raggiunta prima d’ora, tale da permettere alle strumentazioni scientifiche della sonda di studiare nei minimi dettagli l’ambiente gioviano. Due dei nove strumenti a bordo sono di progettazione e realizzazione italiana.
Lo spettrometro JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), ideato dal gruppo di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica guidato dalla planetologa Angioletta Coradini, scomparsa prematuramente nel 2011, permetterà all’Italia di recitare un ruolo di primo piano in questa affascinante missione – come sottolinea Nicolò D’Amico, presidente dell’INAF. Finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, realizzato da Finmeccanica e operato sotto la responsabilità scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF, lo spettrometro JIRAM operante nel vicino infrarosso svolgerà indagini negli strati superiori dell’atmosfera gioviana e sarà in grado di rilevare l’eventuale presenza di metano, vapore acqueo, ammoniaca e fosfina e fornirà immagini delle aurore. L’altro componente italiano di Juno è KaT (Ka-Band Translator) uno strumento di radioscienza realizzato dall’Università La Sapienza di Roma, realizzato da Thales Alenia Space Italia sempre con il supporto di ASI. “Finalmente dopo undici anni di lavoro, di cui cinque di viaggio attraverso lo spazio, siamo finalmente a Giove, la meta tanto attesa! – sottolinea Alberto Adriani, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, Principal Investigator dello strumento JIRAM a bordo di Juno – E adesso arriva il bello: non vediamo l’ora di accendere i nostri strumenti e raccogliere i primi dati scientifici, che ci permetteranno di svelare molti aspetti ancora ignoti del più grande e ostile di tutti i pianeti del nostro Sistema solare.”
Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, ha sottolineato che, al di sotto delle nubi gioviane, Juno troverà uno strato di idrogeno ad altissima pressione che agisce come conduttore elettrico. Si pensa che la rotazione veloce di Giove (un giorno, sul pianeta grande 318 volte più della Terra, dura appena 10 ore) combinata con gli effetti prodotti dall’idrogeno metallico, generi un potente campo magnetico attorno al pianeta, 20 mila volte più potente di quello terrestre, con elettroni, protoni e ioni che viaggiano quasi alla velocità della luce intrappolati al suo interno. Decisamente più lapidario il responsabile della missione, l’americano Scotto Bolton, che sintetizza la filosofia del viaggio di Juno intorno a Giove con un emblematico “Get the data and get out”, ovvero registra i dati scientifici nel periodo di massimo avvicinamento e allontanati velocemente.
da Sorrentino | Lug 3, 2016 | Astronomia, Missioni, Primo Piano
Il ruolo dell’Italia nella missione Juno che indagherà sull’ambiente gioviano è decisamente rilevante, sia dal punto di vista industriale che della ricerca astronomica. A bordo della sonda progettata dalla NASA c’è lo spettrometro ad immagine JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), strumento finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, realizzato da Finmeccanica e guidato scientificamente dall’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF di Roma. Si tratta del secondo spettrografo ad immagine che studierà il quinto pianeta del Sistema solare dopo NIMS (Near-Infrared Mapping Spectrometer) che volava a bordo della missione NASA Galileo, ma JIRAM è il primo di costruzione italiana. Il ruolo dell’Italia nella missione Juno che indagherà sull’ambiente gioviano è decisamente rilevante, sia dal punto di vista industriale che della ricerca astronomica. Lo strumento JIRAM ha come referenti e principal investigator Alberto Adriani e Alessandro Mura, entrambi in forza all’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF di Roma. JIRAM è stato ideato per esaminare gli strati più esterni dell’atmosfera di Giove nell’infrarosso (2-5 μm, milionesimi di metro), arrivando fino a profondità in cui la pressione arriva fino a 5-7 volte quella dell’atmosfera terrestre a livello del mare. JIRAM è composto da una testa ottica e una scatola elettronica. Il sistema ottico è dotato di un singolo telescopio e ospita sia una telecamera a infrarossi che uno spettrometro in grado di garantire flessibilità osservativa. In sintesi, JIRAM può produrre sia spettri che immagini, quindi incorpora due strumenti in uno. La fotocamera possiede due filtri cromatici ottimizzati per osservare sia le emissioni aurorali che quelle termiche del pianeta. Lo strumento è in grado di fornire immagini simultanee nelle bande astronomiche L (circa 3.5 m) e M (circa 4,8 m). Ogni immagine avrà una dimensione di 432×128 pixel (55296 totali). L’imager dello strumento ha un campo di vista complessivo (FOV) di 3,5 x 6,0 gradi.
L’ambiente gioviano è particolarmente rischioso sia per la sonda Juno sia per lo strumento JIRAM, che quindi è stato concepito con caratteristiche davvero uniche. Juno è un satellite spinning, cioè che gira su stesso: dato che i campi energetici sono abbastanza potenti, la sonda potrebbe perdere l’orientamento per qualche momento e farla girare su se stessa consente di mantenere la posizione. JIRAM ha la garanzia di poter funzionare anche in condizioni estreme grazie a un particolare specchio despinning che compensa la rotazione della navicella durante la misurazione mantenendo la scena fissa per il tempo necessario a creare un’immagine. La progettazione di JIRAM è stata guidata dalla necessità di avere uno strumento con il minor volume e massa possibili senza degradare le prestazioni. L’equilibrio termico dello strumento necessario per assicurare buone prestazioni è controllato passivamente (raffreddamento passivo).
L’obiettivo principale di JIRAM è caratterizzare le aurore gioviane (nell’emisfero Nord e nell’emisfero Sud), fenomeno atmosferico frequente anche su altri pianeti del Sistema solare (non solo sulla Terra). Le aurore su Giove nascono dall’interazione delle particelle cariche del vento solare con l’atmosfera del pianeta in corrispondenza dei poli magnetici quando si scontrano con gli atomi di gas che la compongono. Le aurore vengono fortemente influenzate anche dalle particelle che arrivano dalla luna Io, uno dei 4 grandi satelliti di Giove, caratterizzato da violente eruzioni vulcaniche che lanciano nello spazio una notevole quantità di materiale. JIRAM studierà anche i cosiddetti hot spot, cioè delle voragini nell’atmosfera gioviana dove non sono presenti nubi. Con lo strumento italiano sarà possibile guardare all’interno di questi vortici e sondare l’atmosfera anche a pressioni elevate, quindi a profondità dove ci sono temperature più alte.
da Sorrentino | Lug 3, 2016 | Astronomia, Missioni, Primo Piano
Ingresso trionfale quello di JUNO nell’orbita di Giove, salutato sulla Terra con fuochi d’artificio il 4 luglio, giorno che celebra i 240 anni dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti, festa delle feste per gli americani. La NASA ha richiamato l’appuntamento con un countdown sul sito web della missione. Quasi 3 miliardi di chilometri e 5 anni di viaggio sono ormai alle spalle del veicolo spaziale – 20 metri di ampiezza per 4 e mezzo di altezza – che sarà il primo alimentato a energia solare ad operare così lontano dalla nostra stella. Giove è una gigantesca palla di gas, 300 volte più massiccio della Terra. Proprio a causa delle sue enormi dimensioni il pianeta ha avuto una profonda influenza sull’evoluzione del nostro sistema. Ma la sua origine e la sua evoluzione sono ancora oggi un puzzle da risolvere.
JUNO (JUpiter Near-polar Orbiter), missione a forte partnership italiana, si propone di dare risposte tali questioni fondamentali, ancora irrisolte. Muovendosi su un’orbita polare, studierà i campi gravitazionali e magnetici del gigante di gas, esplorerà le sue nubi vorticose e l’atmosfera, marchio di fabbrica di Giove. Misurerà l’abbondanza di acqua e cercherà di determinare la struttura interna del pianeta, cercando prova della presenza di un nucleo solido. Una volta agganciato Giove, Juno svolgerà 20 mesi di intensa attività scientifica e raccolta dati da compiere in 37 orbite servendosi di una suite composta da 9 strumenti principali. Il cuore di Juno sarà l’italianissimo JIRAM (Jovian InfraRed Auroral Mapper), finanziato dall’ASI, realizzato da Finmeccanica e operato sotto la responsabilità scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF.
Operante nel vicino infrarosso, lo spettrometro svolgerà indagini negli strati superiori dell’atmosfera gioviana, sarà in grado di rilevare l’eventuale presenza di metano, vapore acqueo, ammoniaca e fosfina e fornirà immagini delle aurore. L’altro componente italiano di Juno è KaT (Ka-Band Translator) uno strumento di radioscienza realizzato dall’Università La Sapienza di Roma, realizzato da Thales Alenia Space Italia sempre con il supporto di ASI. L’ultimo veicolo terreste a vedere Giove da vicino è stata nel 2007 la sonda New Horizons, sorella di JUNO, che nell’estate 2015 ha raggiunto Plutone. Entrambe appartenentgonoalla famiglia di missioni esplorative NASA del programma New Frontiers. Ma sono molti i satelliti che hanno visitato Giove, a partire dalle sonde Pioneer e Voyager negli anni 70 fino a Galileo, prima missione interamente dedicata al quinto pianeta. JUNO sarà però la prima sonda a volare sui poli e lo farà ruotando su stessa due volte al minuto, a mo’ di trottola spaziale. Tale modalità di navigazione da una parte garantirà maggiore stabilità al veicolo, dall’altra permetterà a ciascuno degli strumenti di bordo di godersi il panorama giovano ad ogni giro e all’evenienza, di assistere allo spettacolo delle sue straordinarie aurore.
da Sorrentino | Lug 3, 2016 | Astronomia, Missioni, Primo Piano
Dopo cinque anni di viaggio all’interno del Sistema solare, la sonda Juno della NASA è arrivata in vista della sua meta, Giove, ed è pronta alla manovra di inserimento orbitale. Prim’ancora di iniziare il programma scientifico, idati preliminari raccolti nella fase di avvicinamento al pianeta saranno utili per comprendere la formazione, struttura e composizione del campo magnetico del gigante del Sistema Solare. Lo scorso 24 giugno strumento Waves ha registrato il passaggio della sonda attraverso il bow shock del gigante gassoso, dove il vento solare supersonico deviato dalla magnetosfera viene riscaldato e rallentato. L’ingresso nella magnetosfera di Giove è coinciso con la registrazione di onde elettromagnetiche rilevate in regioni a bassa densità nella magnetosfera esterna di Giove. I confini di queste ultime isolano le onde a frequenze più basse agendo come conduttori. La frequenza minima di queste onde sta ad indicare la densità della particelle presenti. Gli scienziati ritengono che, in base alla informazioni collezionate da Waves, la densità delle particelle sia pari a circa un elettrone per cento centimetri cubi, un decimo di quella del vento solare rilevata da Juno poco prima dell’ingresso nel bow shock. La concentrazione salirà di nuovo mano a mano che la sonda si avvicinerà al pianeta. “Il bow shock è simile ad un boom sonico – ha commentato William Kurth del team di Waves – se la magnetosfera di Giove brillasse in luce visibile sarebbe grande il doppio della Luna piena vista dalla Terra e la coda che si estende verso l’esterno misurerebbe cinque volte la distanza Terra-Sole”.
Ecco come Juno ci aiuterà a capire l’origine e l’evoluzione del pianeta gigante.
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