Dopo aver agganciato il 16 agosto la capsula Dragon alla Stazione Spaziale Internazionale insieme al collega Randy Bresnik, Paolo Nespoli si è preparato al primo giorno di lavoro con gli esperimenti dell’Agenzia Spaziale Italiana. Il suo primo incarico riguarda il trasferimento degli esperimenti di biologia (CORM, MYOGRAVITY, NANOROS e SERISM) dai contenitori appositamente studiati e realizzati dalla Kayser Italia per mantenere le cellule in condizioni di temperatura idonee alla loro sopravvivenza nell’incubatore Kubik che l’Agenzia Spaziale Europea ha messo a disposizione di ASI per lo svolgimento di questi esperimenti. Nei giorni successivi, a Nespoli spetta il compito di rimuovere volta per volta gli esperimenti e inserirli in un congelatore, per poi inviarli nuovamente a terra e consentire così ai ricercatori italiani di svolgere i test necessari al completamento dell’attività sperimentale. Questi esperimenti sono stati realizzati con coordinamento di programma e finanziamento dell’Agenzia Spaziale Italiana da quattro gruppi di ricerca coordinati Matteo Lulli dell’Università di Firenze (progetto CORM), da Stefania Fulle dell’Università di Pescara-Chieti (progetto MYOGRAVITY(, da Gianni Ciofani dell’Istituto Italiano di Tecnologia (progetto NANOROS) e da Mauro Maccarrone del Campus Biomedico di Roma (progetto SERISM). Il tutto viene seguito dal centro di controllo ASI attivo presso la Kayser Italia dove Gianluca Neri e Fabrizio Carrai sono in collegamento con la Stazione Spaziale e i team NASA (presso il centro di Huntsville) e ESA (a Lucerna e Monaco) per il monitoraggio delle attività, mentre il Mission Manager della missione VITA, Claudio Sollazzo, coordina le attività dal Johnsons Space Centre della NASA.
L’agenda del 18 Agosto di Paolo Nespoli prevede l’esecuzione della prima sessione sperimentale di IN SITU, un esperimento che permetterà per la prima volta di analizzare a bordo della ISS un campione di saliva e trasferire a terra direttamente i risultati di questa analisi. Questo grazie ad una speciale apparecchiatura concepita dal team del dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna coordinato da Aldo Roda. Il progetto è coordinato da Marino Crisconio, Responsabile di Programma dell’Agenzia Spaziale Italiana. La capsula Dragon ha trasportato a bordo della ISS la maggior parte del materiale scientifico della missione VITA: più di 20 Kg di campioni sperimentali e attrezzature tecnologiche innovative per permettere l’esecuzione di 11 esperimenti nell’ambito della biologia cellulare e vegetale, delle contromisure per la sopravvivenza dell’uomo a missioni prolungate nello spazio, della protezione dalle radiazioni cosmiche, della realtà virtuale, della fisica dei fluidi. Questo materiale era stato in parte spedito nelle settimane precedenti il lancio e consegnato alla NASA per essere integrato nel veicolo spaziale. Per quanto riguarda invece gli esperimenti di biologia, questi sono stati preparati nei laboratori della base che NASA ha messo a disposizione dell’Agenzia Spaziale Italiana. Questi laboratori, nelle due settimane precedenti, sono stati utilizzati da un team di circa 20 ricercatori italiani coordinati da Marco Vukich della Kayser Italia, responsabile delle attività di integrazione, per preparare e mettere a disposizione delle autorità di lancio il materiale sperimentale a poche ore dalla partenza del veicolo per lo spazio. La consegna del materiale è stata effettuata alla presenza del rappresentante dell’ASI, Giovanni Valentini, responsabile di programma dei quattro esperimenti di biologia e responsabile dell’utilizzazione delle risorse ASI a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Osservando con il Very Large Telescope dell’ESO sette “galassie medusa”, un team internazionale di astronomi guidato da Bianca Poggianti dell’Inaf di Padova ha scoperto un processo, fino a oggi sconosciuto, attraverso il quale i buchi neri supermassicci si nutrono e si attivano. Il meccanismo all’origine dei “tentacoli” di gas che danno il nome a queste galassie sarebbe, suggerisce lo studio, lo stesso che instrada il gas verso le regioni centrali delle galassie, alimentando i buchi neri annidati nel loro cuore e rendendoli così luminosi. I risultati sono pubblicati oggi su Nature. Gli astronomi hanno preso in esame 94 “galassie medusa”, ovvero galassie che – trainate dalla gravità verso il centro di grandi ammassi – si lasciano alle spalle lunghi tentacoli di gas ionizzato, assumendo così il tipico aspetto, appunto, d’una medusa. Fra queste hanno scelto le 7 dai tentacoli più lunghi: lunghi almeno quanto il diametro del disco stellare della galassia stessa. E le hanno osservate con lo spettrografo MUSE, montato sul Very Large Telescope dell’ESO, lo European Southern Observatory, a Paranal, in Cile. Ebbene, è emerso che 6 su 7 ospitano nel loro cuore un cosiddetto AGN, un nucleo galattico attivo: un buco nero supermassiccio che riluce nutrendosi del gas circostante.
Il risultato, pubblicato su Nature, è sorprendente. Di solito, le galassie che ospitano al loro interno un nucleo attivo sono, in media, meno di 1 su 10. Incontrarne 6 su 7 – dunque una percentuale molto elevata – proprio in questo campione di galassie medusa dai lunghi tentacoli è esattamente l’opposto di quel che ci si attenderebbe: lo stesso meccanismo che produce i tentacoli, quella sorta di vento contrario – detto ram pressure – caldo e denso, prodotto dal rapido avvicinamento al centro dell’ammasso di galassie, dovrebbe infatti sottrarre gas alla “galassia medusa”, togliendo così nutrimento al buco nero centrale e diminuendo di conseguenza l’attività dell’AGN. Ma ciò che si osserva è piuttosto il contrario: un incremento della sua attività.
«Questo collegamento fra l’azione esercitata dalla ram pressure e i nuclei attivi non era previsto dalle simulazioni e non è mai stato osservato prima», spiega la prima autrice dello studio, Bianca Poggianti, dirigente di ricerca all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Padova. «È come se parte del gas, invece d’essere sottratto alla galassia, finisse per raggiungerne il nucleo, contribuendo così a nutrire il buco nero centrale». Ciò che questo risultato evidenzia è dunque un meccanismo fino a oggi sconosciuto di alimentazione dei buchi neri supermassicci. Un meccanismo che potrebbe contribuire a dare risposta a un problema annoso: perché, fra i buchi neri supermassicci presenti nel cuore di quasi tutte le galassie, sono pochi quelli attivi, quelli in grado di accrescere attorno a sé materia e splendere luminosi?
«La nostra indagine, una volta completata, mostrerà quante e quali galassie, fra quelle ricche di gas che precipitano verso il centro degli ammassi, attraversano una fase di maggiore attività nei loro nuclei», conclude Poggianti. «Un enigma attorno al quale gli astrofisici si arrovellano da tempo è proprio quello di capire come le galassie si formino, e si trasformino, nel nostro universo in continua espansione ed evoluzione. Le “galassie medusa”, essendo galassie colte proprio all’apice d’un cambiamento drammatico, offrono un’opportunità unica per comprendere i processi d’evoluzione galattica».
Dopo l’aggancio della caspula Dragon alla stazione spaziale internazionale, attività extraveicolare della durata di sei ore per il cosmonauta russo Fyodor Yurchikhin, comandante di Expedition 52, e il tecnico di volo Sergey Ryazanskiy, con il compito di rilasciare in orbita terrestre cinque nanosatelliti, ognuno dei quali ha una massa di 5 kg. Tra questi il primo CubeSat stampato in 3D, la cui missione consiste nello studio del comportamento in orbita bassa dei materiali realizzati con tecnologia di stampa 3D. Un altro nanosatellite contiene saluti di persone registrare in undici lingue. Un terzo satellite commemora il 60esimo anniversario del lancio di Sputnik 1 e il 160esimo anniversario della nascita dello scienziato russo Konstantin Tsiolkovsky. La settima passeggiata spaziale dell’anno 2017 a bordo della stazione orbitale è la nona della carriera per Yurchikhin e la quarta per Ryazanskiy.
In orbita la capsula Dragon CRS-12 che, con il suo carico di 2800 kg di esperimenti e rifornimenti destinato alla stazione spaziale internazionale, è stata lanciata con il vettore Falcon 9 da SpaceX alle 18:31 di lunedì 14 agosto. Il lift-off è avvenuto dalla LC-39A del Kennedy Space Center di Cape Canaveral, dove ha fatto rientro il primo stadio del lanciatore fermatosi in posizione verticale nella Landing Zone 1. Un successo pieno per la società di Elon Musk. La capsula Dragon CRS-12, dopo aver dispiegato i pannelli solari, ha iniziato le manovre di avvicinamento al complesso orbitale con aggancio previsto alle ore 13:00 del 16 agosto. A Paolo Nespoli e Jack Fisher è stato affidato il compito di catturare manualmente Dragon per mezzo del robotico Canadarm II facendola attraccare al Nodo 2 Harmony. La capsula trasporta 250 esperimenti scientifici, tra cui quelli destinati alle attività di ricerca condotte da Paolo Nespoli. Dragon CRS-12 rientrerà sulla Terra il 17 settembre, con un carico di 1900 kg comprendente materiali e campioni con i risultati dei test eseguiti in orbita dagli equipaggi di Expedition 52 e 53.
Il video del lancio di Dragon CRS-12
La 12esima missione di rifornimento alla Stazione Spaziale Internazionale, condotta da SpaceX, consente di trasferire sulla ISS il rilevatore di raggi cosmici CREAM, che sarà collocato e fatto funzionare per tre anni all’esterno del laboratorio giapponese Kibo, e lo Spaceborne Computer sviluppato da Hewlett Packard Enterprise e NASA per analizzare i livelli di protezione dei sistemi computerizzati esposti alle radiazioni cosmiche in vista delle missioni su Marte, che necessitano di affidamento assoluto sul fronte della elaborazione dei dati e delle comunicazioni con la Terra. La missione di Dragon segna una tappa fondamentale per la missione VITA dell’Agenzia Spaziale Italiana, di cui è protagonista Paolo Nespoli, che viene raggiunto dai kit di quattro esperimenti che compongono la cosiddetta “ASI Biomission” (CORM, MYOGRAVITY, NANOROS, SERISM), e potrà disporre delle cartucce per la raccolta dei campioni biologici per l’esperimento IN-SITU, della giacca per la radioprotezione relativa l’esperimento PERSEO e delle etichette che saranno utilizzate congiuntamente alla app caricata sull’iPad di bordo per l’esperimento ARAMIS.
L’esperimento “PERSEO” riguarda un sistema indossabile di protezione dalle radiazioni cosmiche e consiste in un innovativo giubbotto che grazie a degli spessori d’acqua garantirà una maggiore protezione degli organi radiosensibili, in particolare durante gli eventi solari. Paolo Nespoli ha definito questo esperimento «un’idea geniale dell’università di Pavia, che ha concepito una sorta di armatura da cavaliere medievale che ci proteggerà dai raggi cosmici quando questi diventano più intensi». Il progetto, coordinato da Giorgio Baiocco e Andrea Ottolenghi del Dipartimento di Fisica dell’Università di Pavia, e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, rientra in una più ampiastrategia di radioprotezione per le future esplorazioni spaziali.L’obiettivo è infatti, da un lato ridurre i costi e i problemi logistici legati al lancio di grandi quantità di materiali schermanti, dall’altro quello di massimizzare l’utilizzo delle risorse già presenti e indispensabili in un qualsiasi habitat spaziale, come, in questo caso, l’acqua. «Le tasche di questa giacca possono essere riempite direttamente dai serbatoi della Stazione. Poi, alla fine di un brillamento, l’acqua può tornare a essere bevuta – spiega Nespoli – Il piombo ha più potere schermante, ma portarlo in orbita sarebbe scomodo. Attualmente, nei giorni in cui i raggi cosmici superano i livelli di guardia, gli astronauti sono costretti a rifugiarsi in un modulo un po’ più schermato. Ma dobbiamo interrompere il nostro lavoro, inclusa la necessaria manutenzione della Stazione». Nel team che ha lavorato alla realizzazione del prototipo, oltre ai fisici dell’Ateneo pavese, hanno partecipato anche i ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata e le aziende specializzate: Thales Alenia Space Italia, Smat, Aviotec, Altec, Kayser Italia e Arescosmo.
Il progetto si fa promotore di una strategia di radioprotezione per le future esplorazioni spaziali che aggiri i costi e problemi logistici legati al lancio di grandi quantità di materiali schermanti, massimizzando l’utilizzo delle risorse già presenti e indispensabili in un qualsiasi habitat spaziale, come l’acqua. Lo spiega lo stesso Paolo Nespoli in questo video registrato all’Università di Pavia.
Primo collegamento di Paolo Nespoli dallo spazio. A 5 giorni dall’inizio della missione italiana Vita, l’astronauta italiano dell’Agenzia spaziale europea ha effettuato il primo collegamento dalla Stazione Spaziale Internazionale mettendosi in contatto per venti minuti, in diretta audio e video, con la sede dell’ASI a Roma, per raccontare i suoi primi giorni in orbita e l’inizio della sua attività scientifica a bordo. Alla inflight call sono intervenuti Anna Sirica direttore generale dell’Agenzia Spaziale Italiana e Bernardo Patti, del direttorato Volo Spaziale Abitato e Esplorazione Robotica dell’Agenzia Spaziale Europea. Incalzato sull’adattamento del suo corpo all’assenza di gravità, @astro_paolo ha ribadito gli obiettivi della sua terza missione che lo vede misurarsi da persona normale con la permanenza prolungata a bordo della Iss, dove tutto gli sembra sia rimasto uguale da quando l’aveva abitata l’ultima volta. A chi gli chiede se, con l’ottica di un sessantenne, questa sarà la sua ultima volta nello spazio, Paolo Nespoli risponde con un “mai dire mai”. Astronauta non più, ma forse turista spaziale. Ma intanto si appresta a fornire un grosso contributo alle scienze e alla fisiologia umane per capire come si comporta il fisico in assenza di peso e quali effetti e conseguenze di producono sulle funzioni dell’organismo. Primo astronauta europeo a «cinguettare» dallo spazio via Twitter, nel corso della missione MagISStra del 2010, Nespoli ha deciso di rendere ancora più social la missione «Vita» grazie alla app, denominata #Spac3, che consentirà di creare un’opera d’arte collettiva e dinamica a colpi di foto, scattate dallo spazio e dalla Terra e unite in un Photoshop ispirato al segno del «Terzo Paradiso» creato dall’artista Michelangelo Pistoletto e simbolo della stessa missione spaziale. Il suo tempo libero a bordo della stazione spaziale internazionale sarà dedicato quasi interamente a curare i social media, che diffonderanno le immagini che @astro_paolo scatterà dalla cupola, il modulo trasparente che regala la fantastica vista del nostro pianeta dalla quota di 400 km.
Il lanciatore spaziale europeo Vega ha concluso con successo la sua decima missione, la seconda del 2017, posizionando correttamente in orbita OPSAT-300 e Venus, due satelliti per l’osservazione della terra. L’evento consolida la grande affidabilità di Vega nel settore dei lanciatori spaziali: è la prima volta, infatti, che un nuovo lanciatore esegue i primi 10 lanci dall’esordio senza alcuna anomalia. La missione è partita dal centro spaziale di Kourou, in Guyana francese, il 1 agosto alle ore 22,58 (le 03,58 del 2 agosto in Italia). Si tratta del quarto lancio negli ultimi 10 mesi a dimostrazione dell’affidabilità e flessibilità del lanciatore Vega.
“10 missioni, 10 successi: Vega ha raggiunto un traguardo di performance e affidabilità ineguagliato – ha commentato Giulio Ranzo, Amministratore Delegato di Avio. Siamo orgogliosi di questo risultato, il primo ottenuto da Vega dopo la quotazione in Borsa, che testimonia, oltre alla grande affidabilità dei nostri prodotti , l’efficacia della collaborazione con Arianespace e con i partner industriali europei”. “Prosegue bene il nostro sforzo per lo sviluppo di nuove tecnologie e di lanciatori sempre più performanti per soddisfare le esigenze ogni volta più sofisticare dei nostri clienti – ha aggiunto Ranzo. A Colleferro (Roma) abbiamo appena completato, infatti, il primo booster case del P120, il più grande motore monolitico a propellente solido completamente in fibra di carbonio che equipaggerà Vega C e Ariane 6, i nuovi lanciatori europei che voleranno nel 2019 e 2020“.
“I successi di Vega sono il risultato della capacità di innovare, fare ricerca e trovare soluzioni competitive e affidabili per il mercato dei lanciatori”, ha detto Roberto Battiston, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana. “Le infrastrutture satellitari sono in crescita e saranno sempre più pervasive: è stato quindi fondamentale costruire una famiglia di lanciatori europei che garantisca l’accesso allo spazio e la competitività dell’intera filiera spaziale. In questo quadro le capacità e il ruolo di Avio sono una certezza”, ha concluso Battiston
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