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Mars Planet a Focus Live

Mars Planet a Focus Live

Una passeggiata su Marte è la straordinaria opportunità offerta da Mars Planet nel Padiglione Spazio di Focus Live, la kermesse di quattro giorni organizzata dall’8 all’11 novembre al Museo della Scienza e della Tecnica “Leonardo da Vinci” di Milano. Accanto al simulatore della Soyuz, le piattaforme di realtà virtuale motivity e motigravity di Mars Planet, chapter italiano della Mars Society, in grado di regalare una immersione totale nei panorami delle pianure marziane e la sensazione di muoversi nei moduli di una base umana sul Pianeta Rosso. Un visore 3D e un joystick per calarsi nell’atmosfera di panorami riprodotti sulla scorta dei ritratti naturali trasmessi dai rover che hanno esplorato la superficie marziana. Mars Planet dimostra con questa tecnologia, interamente sviluppata dalla propria organizzazione che può contare sulla collaborazione con università e centri di ricerca di Paesi europei e asiatici, come sia possibile supportare l’ambientamento dei futuri esploratori spaziali ricostruendo in maniera virtuale gli spazi e le condizioni in cui si ritroveranno a operare. Se il laboratorio allestito nel corso di Focus Live ha una finalità primariamente educativa, Mars Planet è impegnata a sviluppare applicazioni clinico-mediche e riabilitative in forza di un bando europeo che ha assegnato questo compito specifico. Una riprova di come la ricerca per lo sviluppo di tecnologie da impiegare a supporto della presenza dell’uomo sul Pianeta Rosso possa mettere a disposizione ricadute per utilizzi civili e industriali.

 

La sfida per lo Spazio pulito

La sfida per lo Spazio pulito

L’economia dello spazio è chiamata a fare i conti con la gestione della nuvola di detriti spaziali presente nelle orbite maggiormente utilizzate, quella bassa fino a 2000 km, dove operano in prevalenza i satelliti per l’osservazione terrestre e scientifici, e quella geostazionaria, a 36mila km di quota, dove si concentrano i satelliti per le telecomunicazioni. I residui di 60 anni di attività, fatta di lanci e satelliti in disuso, ma anche di frattaglie metalliche di minuscole dimensioni, pone i responsabili delle agenzie spaziali di fronte alla necessità di mettere in campo tecnologie per rimuoverne una certa quantità e pianificare un futuro fatto di satelliti che a fine vita non diventino pericolosi detriti. Il problema riguarda la sicurezza delle missioni spaziali e la possibilità di continuare a utilizzare le orbite che rispondono alle esigenze operative. Un tema affrontato da Luisa Innocenti, dal 2012 a capo del Clean Space Office dell’Agenzia Spaziale Europea, intervenuta a BergamoScienza. La sfida per ripulire lo spazio circumterrestre è iniziata da tempo e l’ESA è capofila nella ricerca di soluzioni praticabili e affidabili, come pure nell’impegno a introdurre in tutti i progetti dell’industria spaziale l’analisi del ciclo di vita, dalla costruzione al lancio all’impiego in orbita. Il futuro razzo vettore europeo Ariane 6 è il primo lanciatore che risponde a questi requisiti. L’ESA è responsabile di poco meno di 100 dei 29mila detriti spaziali di dimensioni superiori a 10 cm, che sono regolarmente tracciati. Ciò nonostante sta studiando una missione che consenta di recuperare il grande satellite di osservazione terrestre Envisat, in disuso con le sue 8 tonnellate di massa. Due le soluzioni proposte: una rete che verrebbe lanciata da una distanza di 50 km per avvolgerlo e trascinarlo, o un braccio robotico che aggancerebbe il satellite per rimuoverlo e farlo deorbitare in modo controllato fino alla distruzione nell’attrito con gli strati densi dell’atmosfera. Ma i numeri di residui delle missioni spaziali con cui fare i conti sono alti. Su circa 7.500 satelliti lanciati dal lontano 1957, quelli attualmente in funzione sono 1.200. Il totale delle masse di oggetti artificiali lanciati nello spazio è di circa 7.500 tonnellate. Il numero dei detriti sotto costante osservazione è di circa 23mila. Finora si sono registrati circa 300 tra impatti e collisioni in orbita, am bisogna tenere conto che navigano ad alte velocità 750mila detriti di dimensioni comprese tra 1 a 10 cm e 166 milioni tra 1 millimetro e 1 cm. Non sono stati previsti progetti internazionali né fondi per varare un piano commerciale di spazzamento spaziale, che dovrebbe interessare tutte le nazioni con capacità di lancio e detentrici di satelliti, ma è certo che in futuro l’industria spaziale sarà chiamata a impiegare materiali che permettano ai satelliti di bruciare interamente durante il rientro in atmosfera.

 

In volo sull’asteroide Bennu

In volo sull’asteroide Bennu

Osiris-Rex, terza missione del programma Nuove Frontiere della Nasa, che si pone l’obiettivo di prelevare dei campioni dall’asteroide Bennu e riportarli sulla Terra, si avvicina alla fase culminante del viaggio iniziato l’8 settembre 2016. Dopo avere trasmesso il 17 agosto 2018 le prime immagini dell’asteroide, riprese a una distanza di 2,2 milioni di km, quasi sei volte la distanza tra la Terra e la Luna, che ne mostrano il movimento rispetto alle stelle della costellazione del Serpente, la sonda si prepara all’avvicinamento finale previsto il 3 dicembre 2018. Una sfida esaltante, di cui hanno parlato a BergamoScienza tre scienziati italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica coinvolti nel progetto. John Brucato, che lavora all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri e si occupa di astrobiologia, fa parte anche del team della missione Exomars 2020; Elisabetta Dotto dell’Osservatorio Astronomico di Roma e Maurizio Pajola ricercatore dell’Osservatorio Astronomico di Padova con esperienze al JPL e al centro Ames della NASA. Va ricordato che un altro italiano, Dante Lauretta dell’Università di Tucson in Arizona, ricopre il ruolo di principal investigator.

Dopo i successi delle sonde giapponesi Hayabusa, la prima atterrata nel primo decennio sull’asteroide 25143 Itokawa e la seconda che nel settembre 2018 ha fatto posare due piccoli robot sulla superficie dell’asteroide Ryugu distante 300 milioni di chilometri dalla Terra, a sonda Osiris-Rex sarà il primo veicolo spaziale della NASA a visitare un un asteroide vicino alla Terra, ispezionarne la superficie, raccoglierne un campione e riportarlo in sicurezza sul nostro pianeta. Un’operazione la cui complessità è legata all’assenza di un significativo gradiente di gravità (Bennu ha un diametro di appena 500 metri) che consenta il classico ancoraggio in superficie. L’avvicinamento sarà progressivo e il prelievo del materiale superficiale avverrà in pochi secondi con una manovra di tipo aeronautica “touch and go”. La perlustrazione di questi mondi primordiali è fondamentale per conoscerne la composizione chimico-fisica e ricostruire la formazione del sistema solare. La sonda Rosetta, per esempio, ci ha rivelato come la cometa 67P possieda ben 28 unità geologiche. Il ritorno di Osiris-Rex è atteso nel 2023 con il suo prezioso carico che sarà distribuito tra vari laboratori nel mondo. Una parte dei campioni sarà conservata in attesa di strumenti di indagine più evoluti che potranno svelare la natura dell’asteroide. Un po’ come è successo per i campioni riportati sulla Terra dalle missioni Apollo e conservati sotto azoto e ancora oggetto di analisi.

La tabella di avvicinamento all’asteroide ne prevede lo studio attraverso gli strumenti scientifici e riprese fotografiche per rivelarne forma e caratteristiche superficiali. Dal 1° ottobre sono iniziate le manovre destinate a rallentare la velocità di Osiris-rex e permettere l’inserimento nell’orbita di Bennu intorno al Sole. Il piano di volo della sonda prevede una serie di flyby dei poli e dell’equatore di Bennu a distanze comprese tra i 7 e i 19 chilometri. Bennu sarà il più piccolo oggetto attorno al quale qualsiasi veicolo spaziale abbia mai orbitato. Una volta identificate le zone ideali per la raccolta dei campioni, il contatto con la superficie è previsto nel luglio 2020. Quindi, Osiris-Rex farà ritorno verso il nostro pianeta lanciando una capsula contenente i campioni destinata ad atterrare nel deserto dello Utah, nel settembre 2023.

(photo credit: NASA)

BergamoScienza 2018 al via tra neuroscienze e dinosauri

BergamoScienza 2018 al via tra neuroscienze e dinosauri

Al via sabato 6 ottobre la XVI edizione di BergamoScienza, in programma fino al 21 ottobre con un calendario oltre 160 eventi, che comprendono conferenze, laboratori interattivi, spettacoli, mostre, tutti fruibili gratuitamente. Una manifestazione che concentra in 16 giorni l’attenzione sul mondo della ricerca, delle tecnologie e del sapere scientifico, attraverso la presenza di esperti e scienziati di fama mondiale, ma che ha sposato l’obiettivo della divulgazione scientifica tutto l’anno coinvolgendo i giovani e le scuole nelle attività che fanno perno sul Bergamo Science Center. L’apertura di BergamoScienza 2018 è stata affidata allo scrittore Ian McEwan e al neuroscienziato Ray Dolan, invitati a diagolare sulle emozioni tra scienza, cervello e letteratura indagando i punti di contatto fra due discipline solo apparentemente distanti. Domenica 7 ottobre alle ore 16, il paleontologo ed esperto di dinosauri Jack Horner, l’Alan Grant di Jurassik Park, consulente di Spielberg e autore della scoperta di nidi fossilizzati di dinosauri, sarà protagonista dell’incontro Riscoprire i dinosauri. Con le sue ricerche, Horner ha dimostrato che questi antichi rettili, da cui discendono i nostri uccelli moderni, accudivano i propri piccoli. Una testimonianza che ricade nella città sede dell’importante Museo di Scienze Naturali, in cui è custodito il calco del rettile volante più antico del mondo e dove è in corso la mostra sui dinosauri procrastinata fino al 6 gennaio 2019. Nel primo weekend di BergamoScienza tiene banco La Scuola in Piazza, kermesse scientifica on the road animata dagli stand di 45 istituti scolastici – dalle scuole d’infanzia all’Università – ai quali si affiancano quelli delle forze dell’ordine: Guardia di Finanza, Accademia della Guardia di Finanza, Polizia, Carabinieri, Stato Maggiore della Difesa. La Polizia scientifica propone la mostra fotografica Frammenti di storia – l’Italia attraverso le impronte, le immagini e i sopralluoghi di Polizia scientifica, curata dalla Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato. Nel secondo weekend di ottobre si parla di spazio con un focus sugli asteroidi, oggetto di studio e potenziali miniere oltre che di costante monitoraggio per il pericolo di impatto con la Terra, e un’analisi dei progetti che mirano a liberare l’orbita terrestre dalla moltitudine di detriti, residuo di sessant’anni di missioni spaziali. (credit immagine: Laura Pietra per BergamoScienza)

Lunar City sbarca in laguna

Lunar City sbarca in laguna

Dopo la prima assoluta del film Il Primo Uomo del regista Damien Chazelle con Ryan Gosling nel ruolo di Neil Armstrong del quale la pellicola racconta la vita tra il 1961 e il 1969, l’anno dello storico sbarco sulla Luna, la Mostra Internazionale del Cinema di Venezia torna a parlare di spazio. Sul red carpet gli astronauti italiani Roberto Vittori e Paolo Nespoli, tre missioni a testa in orbita, che sono intervenuti alla presentazione del docufilm Lunar City di Alessandra Bonavina, prodotto da Omnia Gold Studios Production in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana e la Nasa. Lunar City, secondo capitolo della trilogia Expedition iniziata con il racconto dell’ultima missione di lunga durata condotta da Paolo Nespoli, è il racconto di come sarà il ritorno alla Luna. Un obiettivo che vede coinvolti non solo, come mezzo secolo fa, solo gli Stati Uniti, allora in competizione con la Russia, ma molti Paesi, Italia ed Europa comprese.

“Il ritorno verso la Luna servirà a definire il futuro dell’esplorazione umana nello spazio – ha detto Dylan Mathis, communication manager della NASA per la stazione spaziale internazionale, sottolineando come l’agenzia si stia preparando a mandare astronauti nell’orbita cislunare per attività orientate alla preparazione del viaggio verso Marte. Un obiettivo che si vuole perseguire con uno sforzo tecnologico internazionale molto esteso e partecipato”. Dunque, come ha sottolineato Alessandra Bonavina, il ritorno alla Luna è destinato a essere vissuto come genere umano, non come spettatore passivo, ma come attore della preparazione ed esecuzione delle missioni. Roberto Vittori e Paolo Nespoli, che si sono ritrovati a Venezia esattamente vent’anni dopo essere entrati a far parte del corpo astronauti, hanno sottolineato l’importanza di divulgare la funzione strategica delle missioni spaziali, attraverso cui allargare le frontiere dell’umanità e trasferire le conoscenze e le nuove tecnologie impiegate per i viaggi di esplorazione e la lunga permanenza lontano dal pianeta Terra. Paolo Nespoli, con le due missioni di lunga durata, ha fornito un contributo rilevante allo studio della fisiologia umana nello spazio. Alessandra Bonavina, che ha realizzato il docufilm proprio in vista del cinquantennale dello sbarco dell’uomo sul nostro satellite, il 20 luglio 1969, ha annunciato che la trilogia è destinata a completarsi con la presentazione della prossima tappa dell’esplorazione spaziale dopo la Luna, ovvero Marte.

Charity per la pediatria con il Sogno di un Astronauta

Charity per la pediatria con il Sogno di un Astronauta

“Sogno di un Astronauta“, la sinfonia commissionata al compositore Leonardo Di Lorenzo dal CALTECH (California Institute of Technology) per celebrare il lancio della navetta spaziale ATLANTIS l’11 maggio 2009, ha reso possibile concretizzare il proposito di contribuire al sostegno delle attività dell’Ospedale dei Bambini di Brescia, uno dei 13 Ospedali Pediatrici italiani e centro di riferimento italiano ed europeo per diverse patologie. Proprio a Brescia, città in cui Leonardo Di Lorenzo ha studiato e si è formato musicalmente per approdare sulla scena internazionale e scegliere di vivere e lavorare a Londra, l’autore ha voluto eseguire per la prima volta in Italia questa opera in un concerto sold out svoltosi al Teatro Grande nel febbraio 2018. Un’iniziativa di arte e charity patrocinata, tra gli altri, dall’Unione Giornalisti Aerospaziali Italiani, Associazione Culturale Orbitale e dal Comune di Brescia, e che ha consentito di devolvere il ricavato della serata alla struttura sanitaria dove ogni anno vengono assicurate oltre 35.000 prestazioni a favore dei piccoli pazienti.

La sinfonia “Sogno di un astronauta” fu eseguita in anteprima nella storica “Dabney Lounge” del campus californiano ed è stata rimessa in scena al Teatro Grande di Brescia con L’Orchestra Sinfonica dei Colli Morenici, diretta dal Maestro Giuseppe Orizio. L’obiettivo della missione dello Space Shuttle Atlantis, partita l’11 maggio 2009, era l’ultima manutenzione del telescopio orbitante Hubble; ai comandi c’era Scott Altman, il quale fu anche uno dei “veri” piloti nel film cult “Top Gun”. Due anni dopo, il 21 luglio 2011, la stessa navetta spaziale toccava per l’ultima volta la pista di atterraggio del Kennedy Space Center, facendo calare il sipario sul Programma Space Shuttle, durato 30 anni.

“Sognare di essere un astronauta e quindi creare questo sogno in musica è stata una cosa molto affascinante – ha spiegato il maestro Leonardo Di Lorenzo – La suite si divide in 3 movimenti: il decollo, il paesaggio lunare e infine il movimento che si chiama ‘Non siamo soli’, che rappresenta l’incontro degli astronauti con gli alieni. Un messaggio di fiducia e non di paura nei confronti delle cose che non conosciamo. Una metafora – ha concluso il compositore – perché alla fine siamo tutti un po’ astronauti, vogliamo tutti decollare e andare sulla Luna”.