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Nel ‘DNA-spazzatura’ causa tumori e malattie genetiche

Nel ‘DNA-spazzatura’ causa tumori e malattie genetiche

DNAUno studio con partecipazione dell’Istituto di genetica e biofisica del Cnr, pubblicato su Science, rivela le regioni del genoma che non codificano per proteine varianti con un ruolo potenziale nello sviluppo di vari tipi di cancro. Lo stesso approccio potrà essere applicato per identificare mutazioni responsabili di altre patologie. A differenza della regione che codifica proteine, dove si trovano 23.000 geni, la regione non-coding che costituisce il 98% del genoma umano non è ancora ben compresa, tanto che in passato è stata considerata un ‘DNA-spazzatura’. A partire da studi recenti che hanno evidenziato la funzione di questa regione nella regolazione delle proteine, uno studio pubblicato su ‘Science’ e che conta tra i primi firmatari Vincenza Colonna dell’Istituto di genetica e biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche (Igb-Cnr) di Napoli ha identificato le regioni del genoma che non codificano per proteine rilevanti dal punto di vista funzionale, scoprendone il ruolo potenziale nello sviluppo di vari tipi di tumore.

Le regioni del DNA che codificano proteine e contengono geni importanti per la sopravvivenza e la salute umana subiscono una selezione ‘negativa’: la loro variabilità genetica è cioè ridotta affinché la funzione di tali geni si conservi inalterata. “In questa ricerca si è cercato di identificare le regioni non codificanti del genoma definite ‘ultrasensitive’ dove, così come nelle regioni protein-coding, le mutazioni che risultano dannose vengono rimosse e le mutazioni benefiche subiscono al contrario una selezione ‘positiva’ affinché la loro frequenza aumenti nelle popolazioni”, spiega Vincenza Colonna dell’Igb-Cnr. “Tali mutazioni sottoposte a selezione positiva sono molto rare ma hanno effetti importanti: in questo lavoro dimostriamo per la prima volta che alcune di esse si trovano in regioni non-coding centrali per la regolazione genica”.

La ricerca ha identificato in queste regioni del genoma le singole basi del DNA che, se modificate, causano gravi alterazioni funzionali e che, se la regione svolge una funzione centrale in un network di geni, possono avere gravi ripercussioni e causare malattie. Queste informazioni sono state implementate in un sistema informatico che ha gerarchizzato le varianti sulla base del loro potenziale impatto patologico. Il sistema è stato applicato a 90 genomi estratti da tumori del seno, della prostata e del cervello e ha identificato 100 potenziali mutazioni in regioni non codificanti. “Ad esempio, in genomi derivanti da cellule colpite dal cancro del seno è stata identificata la mutazione di una singola base del DNA che sembra avere un grande impatto sullo sviluppo tumorale”, prosegue Colonna.

“La ricerca ha combinato la lista di varianti genetiche identificate dal 1000 Genomes Project e l’informazione sulle regioni non-coding fornita da Encode Project”, dice Ekta Kurana della Yale University. “Al di là di questa prima applicazione sui genomi del cancro, questo metodo può essere adattato a qualsiasi mutazione responsabile di malattie genetiche che si trovi in regioni non-coding”, conclude Chris Tyler-Smith del Wellcome Trust Sanger Institute. “Siamo entusiasti del potenziale di questo metodo per l’identificazione di mutazioni sia legate a malattie sia benefiche in questa parte del genoma importante e ancora non totalmente esplorata”.

Italia coordina gruppo ricerca su cancro

Italia coordina gruppo ricerca su cancro

europe7In Europa e in Usa sopravvive al cancro un numero di cittadini che negli ultimi quarant’anni è costantemente aumentato, fino a raggiungere i 14 milioni in UE e i 12 milioni in USA e in Canada. Di pari passo col fenomeno della sopravvivenza emergono, però, anche problemi fino ad ora sconosciuti e nuove sfide per la ricerca, l’assistenza (sanitaria, sociale e psicologica), i malati e le loro famiglie. Per quanto inequivocabili, infatti, i dati quantitativi non spiegano tutto ed anzi pongono ulteriori interrogativi: chi, dove, come e perché si sopravvive? Tutte informazioni preziosissime, che preparano la strada ai progressi di domani.

Per raccogliere questi dati – ancora iniziali e frammentari – analizzarli e condividerli, nasce l’ampio network dell’ European Collaborative Group on Cancer Survivorship (ECGCS), innovativo modello di collaborazione internazionale ed interdisciplinare che ha già prodotto un efficace confronto tra Europa e Stati Uniti: un confronto a cui la principale rivista del settore, “Cancer, Interdisciplinary and International Journal of American Cancer Society”, dedica in questi giorni un numero speciale dal titolo “European – American Dialogues on Cancer Survivorship: Current Perspectives and Emerging Issues”. (l’edizione online è disponibile in https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/cncr.v119.S11/issuetoc).

L’ECGCS ed il suo sito web (www.ecgcs.eu) rappresentano la piattaforma verso cui stanno oggi confluendo autorevoli ricercatori europei, americani, canadesi ed australiani, e da cui sarà avviato in futuro anche un forum di discussione con e tra i pazienti.

Capofila dell’ECGCS è l’Istituto di ricerca e cura dei tumori Giovanni Paolo II di Bari che nel corso del 2012, in occasione dei congressi internazionali di Bari, Washington e Copenaghen ha fondato e promosso l’iniziativa presso gli esperti del settore ed i delegati di organismi come l’ESO (Scuola Europea di Oncologia), l’OECI (Unione degli Istituti Europei dei Tumori) e l’ECPC (European Cancer Patient Coalition).

Il coordinamento del progetto è affidato al Direttore del Dipartimento di Area Critica e dell’Unità di Psico-oncologia dell’IRCCS barese Vittorio Mattioli, che è anche il project leader del “Programma nazionale di ricerca sulla riabilitazione dei sopravvissuti di lungo termine al cancro” e responsabile per l’Italia del WP8 dell’European Partnership dof Action Against Cancer. L’European Partnership for Action Against Cancer ha il compito di sviluppare una guida europea per il miglioramento della qualità globale nel controllo del cancro: tra i temi affrontati, anche quello della sopravvivenza attraverso il Work Package 8, che coinvolge nove Paesi Europei e lo stesso ECGCS.

Nel Comitato Direttivo siedono ricercatori di fama internazionale, mentre tra gli advisors spiccano figure come Kevin Stein dell’American Cancer Society, Caterina Alfano del NCI-NIH Office of Cancer Survivorship (Usa), Arminee Kazanjian del Consorzio Canadese di Ricerca sulla Sopravvivenza al Cancro, Michael Jefford del Centro Australiano sulla Sopravvivenza al Cancro ed il Presidente OECI Wim van Harten.

Italia sempre più vecchia. Vertice ai Lincei

Italia sempre più vecchia. Vertice ai Lincei

anziani-panchinaL’Italia è tra i paesi più vecchi del mondo, assieme con Giappone, Corea del Sud e Germania. Già oggi nel nostro paese le persone sopra i 65 anni sono il 30% della popolazione e nel 2030 ci saranno tre persone bisognose di cure ogni 4 adulti. Questa non invidiabile posizione ci pone come front runner della ageing society nella graduatoria demografica dell’OECD (Organizzazione per la Cooperazione lo Sviluppo Economico), al punto che l’Italia è considerata un laboratorio di osservazione e analisi dell’invecchiamento e delle possibili soluzioni. Questa rivoluzione “grigia” interesserà praticamente ogni aspetto della società, i sistemi economici e la vita quotidiana, richiedendo un profondo cambiamento in tutti i settori. Un problema che nel mondo si fa sentire già con 35 milioni di malati di Alzheimer, Demenza, Parkinson, che costano 50.000 euro l’anno ciascuno, per un totale di 1.750 miliardi di euro, e si prevede raddoppieranno nei prossimi venti anni. Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, che rappresenta l’Italia nel comitato OECD per le politiche scientifiche e tecnologiche, ha coinvolto la comunità scientifica e istituzionale nazionale per rispondere alla sfida trasversale dell’invecchiamento, raccogliendo le analisi e i suggerimenti delle varie componenti: sociali, demografiche, economiche, ambientali, tecnologiche, scientifiche, sanitarie, infrastrutturali. Prendendo spunto dal primo risultato del lavoro, multidisciplinare e integrato, l’Accademia dei Lincei ha promosso una giornata di studio (venerdì 31 maggio) con la partecipazione del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Maria Chiara Carrozza, del Presidente dell’Accademia dei Lincei Lamberto Maffei, del Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) Luigi Nicolais e di Luigi Paganetto membro del Consiglio dell’ISTAT. Presente anche Elettra Ronchi, Senior Policy Analyst e co-autore del capitolo “Science and Technologies perspectives on an Ageing society” del rapporto OECD “Science, Technology and Industry Outlook 2012. L’obiettivo finale è produrre un documento, condiviso al momento con Ministeri ed Enti di ricerca, ma successivamente con l’intera comunità scientifica e con la società civile, da proporre nei vari contesti internazionali, dal G8 al G20, all’Unione Europea, presentando la proposta italiana di approccio globale e integrato per affrontare correttamente il problema dell’invecchiamento che non è risolvibile nell’ambito di limitate azioni o politiche settoriali. La proposta italiana ha già raccolto l’adesione preliminare di Giappone, Corea del Sud, Germania, Brasile, Irlanda e Ungheria, che, nella riunione del CSTP (Comitato OECD per le politiche della Scienza e della Tecnologia) del marzo scorso a Parigi, hanno chiesto di essere informati sullo svolgimento del lavoro italiano anche per fornire il proprio contributo. L’Italia si sta muovendo attivamente in questa direzione e il documento in preparazione rappresenta il primo passo verso un ruolo internazionale per far diventare l’Italia uno dei centri mondiali per indagare i molteplici aspetti dell’invecchiamento della popolazione e per delineare le possibili soluzioni.

Osteosarcoma: un progetto AISOS per combatterlo e prevenirlo

Osteosarcoma: un progetto AISOS per combatterlo e prevenirlo

osteosarcoma_2E’ lo “Studio dei Meccanismi alla base della patogenesi dell’Osteosarcoma” il progetto di ricerca scientifico che la Fondazione Just Italia ha deciso di sostenere e finanziare affiancando la missione di AISOS Onlus, l’associazione Italiana fondata e presieduta dal medico Francesca Maddalena Terracciano che opera per la prevenzione e la diagnosi precoce dell’ osteosarcoma, il tumore maligno primitivo più frequente dello scheletro che colpisce in prevalenza bambini e adolescenti. L’indagine scientifica si rivela fondamentale per attaccare e distruggere i processi biomolecolari che portano all’insorgenza e allo sviluppo di questa neoplasia maligna. Lo studio finanziato dalla Fondazione Just Italia (Onlus dell’omonima azienda veronese che sostiene ogni anno un progetto nazionale di ricerca scientifica) serve a dare impulso a protocolli terapeutici  innovativi e più efficaci attraverso la diagnosi tempestiva.

Il progetto è stato presentato a Roma nel corso di un incontro a cui hanno partecipato Francesca Maddalena Terracciano, presidente Aisos, Marco Salvatori, presidente Fondazione Just Italia, Carlo Della Rocca, vicepresidente Comitato Scientifico AISOS Onlus – Università La Sapienza, e Barbara Peruzzi, project leader – Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

AISOS” – ha ricordato Francesca Maddalena Terracciano, “è nata nel 2004 con il preciso obiettivo di sostenere i piccoli pazienti e le loro famiglie attraverso un percorso strutturato e protetto, dove il paziente è al centro di un protocollo multidisciplinare, in cui si alternano professionisti di elevato livello professionale (anatomopatologi, ortopedici, neuropsichiatri infantili, psicanalisti e psicoterapeuti). L’Associazione si pone inoltre come sportello informatico tra le varie sedi ospedaliere e come Protocollo tra il personale medico e quello delle professioni sanitarie”. AISOS Onlus istituisce corsi di formazione e informazione sul piano nazionale e internazionale. L’ultimo è stato organizzato presso l’Ordine dei Medici di Roma, nel dicembre 2012. Finanzia progetti di ricerca e borse di studio. E’ in rete con dieci ospedali italiani.

“Oggi quattro bambini su cinque malati di Osteosarcoma guariscono; il nostro obiettivo – ha aggiunto Terracciano – è riuscire a guarirli tutti”.

Lo Studio si propone di indagare i meccanismi che possono portare alla propagazione della malattia, con particolare attenzione al ruolo svolto dalle microvescicole. Ne ha fornito una sintesi la biotecnologa Barbara Peruzzi , membro del Comitato Scientifico di AISOS Onlus, che guiderà l’équipe di Ricerca incaricata di condurre lo Studio. “Le microvescicole sono identificate in campo scientifico con la sigla MVs e sono microparticelle in grado di veicolare informazioni di varia natura tra le cellule dell’organismo, svolgendo la funzione di mediatori cellulari. Per questa caratteristica, si può ipotizzare che siano coinvolte nel “dialogo” tra le cellule di Osteosarcoma e le cellule sane del tessuto osseo, rappresentando una componente chiave nell’insorgenza e progressione del tumore. La conferma di questa ipotesi –ha sottolineato Barbara Peruzzi – è l’obiettivo di questo Progetto. Interferire con il rilascio delle MVs rappresenta un modo  per ostacolare l’evoluzione del tumore”.

L’adesione a un Progetto Scientifico di questa portata è stata argomentata da Marco Salvatori, Presidente di Fondazione Just Italia: “Ogni anno, coerentemente con i valori e la cultura della Responsabilità Sociale di cui la Fondazione è una espressione concreta, sosteniamo un Progetto di Ricerca di rilevanza nazionale destinato al mondo dei bambini. Lo abbiamo fatto negli anni scorsi con analoghi Centri di eccellenza che abbiamo affiancato nelle ricerche sulla Leucemia Linfoblastica Acuta, la Sindrome di Rett, l’utilizzo di cellule staminali mesenchimali per la ricostruzione di ossa distrutte dal tumore. Sono iniziative che ci hanno coinvolto profondamente” – ha proseguito Salvatori –”anche perché la nostra attività imprenditoriale (Just Italia è leader nella vendita a domicilio di cosmetici naturali e opera attraverso una rete di ben 20.000 incaricati alle vendite sull’intero territorio nazionale) “ci porta quotidianamente a contatto con migliaia di famiglie, con le quali stabiliamo una relazione diretta e amichevole. Sappiamo che cosa significhi  avere un bambino malato, a volte senza futuro. I contenuti e gli obiettivi del progetto AISOS ci sono sembrati particolarmente innovativi perché indagano un’area tuttora sconosciuta di questa malattia e fanno intravvedere prospettive incoraggianti”. Da ultimo, Marco Salvatori ha sottolineato un aspetto di grande attualità “Sappiamo bene, come cittadini e come imprenditori, quali siano le difficoltà che incontrano i ricercatori italiani per la carenza di risorse e assistiamo con rammarico alla fuga di cervelli dal nostro Paese. Se il nostro contributo può aiutare a prevenire qualche migrazione di giovani talenti ne siamo doppiamente felici. Abbiamo deciso di affiancare AISOS anche perché siamo stati contagiati dalla loro determinazione e dal loro entusiasmo e affidiamo a questo Progetto le speranze di tanti bambini e delle loro famiglie”.

Sull’inquadramento di questa particolare Ricerca nell’ambito degli studi in corso sull’Osteosarcoma e sulle peculiarità di questa grave patologia é intervenuto il Prof. Carlo Della Rocca, Professore Ordinario di Anatomia Patologica a “La Sapienza” Università di Roma e Vice Presidente del Comitato Scientifico di AISOS Onlus, ricordando come “sostenere la ricerca nel campo di malattie gravi, ma poco frequenti, come l’Osteosarcoma,  contribuisca a mantener accesa la speranza di coloro che sono affetti dalla patologia e dei loro familiari. Il volontariato in questi casi diventa determinante, stanti le scarse risorse istituzionali spesso concentrate su malattie a più ampia diffusione sociale”.

Piccole deformazioni precedono i terremoti?

Piccole deformazioni precedono i terremoti?

terremoto aquilaRicercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del CNR-IREA hanno pubblicato un nuovo studio su fenomeni deformativi precedenti il terremoto de l’Aquila del 2009. La forte scossa tellurica che ha colpito la città il 06 aprile 2009 è stata causata dalla rottura di una faglia lunga circa sedici chilometri con uno scorrimento di quasi un metro. Gli effetti in superficie di questa rottura sono stati evidenziati con diverse tecniche di misura, fra cui quella GPS (Global Position System) e quella interferometrica basata sull’utilizzo di immagini radar da satellite (InSAR). Ulteriori ricerche hanno evidenziato la possibile presenza di fenomeni deformativi, di diversi centimetri, in un’ampia area relativamente vicina alla zona colpita dal terremoto.
La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale “Terra Nova” col titolo: “Anomalous far-field geodetic signature related to the 2009 L’Aquila (central Italy) earthquake” (“Deformazione geodetica anomala relativa al terremoto de L’Aquila Italia centrale del 2009”) a cura di Simone Atzori, Claudio Chiarabba, Roberto Devoti (INGV) e Manuela Bonano e Riccardo Lanari (CNR-IREA), è stata condotta sfruttando i numerosi satelliti di osservazione della Terra che acquisiscono regolarmente immagini radar. La tecnica InSAR di interferometria radar permette di individuare con precisione inferiore al centimetro le deformazioni della crosta terrestre che interessano vaste porzioni del territorio. In questo lavoro vengono sfruttate immagini di satelliti radar europei e giapponesi per cercare di individuare anche deboli segnali che possano aver preceduto il terremoto, esplorando un arco temporale anche di molti mesi prima dell’evento. In tal senso sono stati usati i più moderni algoritmi di elaborazione di dati radar, tramite una collaborazione fra enti di ricerca pubblici italiani. Come spesso accade, si è partiti dall’analisi di un singolo fenomeno per estendere poi l’ambito di indagine; il punto d’inizio è stata l’analisi di una deformazione di qualche centimetro che ha interessato un’ampia zona a circa 20 km a sud-ovest de L’Aquila, giustificabile solo in parte come conseguenza della rottura del 6 Aprile, in accordo con gli attuali modelli a disposizione. L’indagine poi si è estesa temporalmente fino a includere le deformazioni dell’area negli anni precedenti e riscontrando che in quella stessa area altri fenomeni deformativi sembrerebbero essersi verificati un paio di anni prima dell’evento. Sebbene sia al momento ancora difficile capire il legame fra queste deformazioni e l’evento principale, questo studio vuole indirizzare l’attenzione sul contributo che le tecniche geodetiche possono dare allo studio dei processi di formazione dei forti terremoti.
Presso l’INGV, i dati geodetici della rete GPS nazionale e le mappe di deformazione ottenute con immagini radar da satellite sono oggetto di attività di ricerca per tutte le fasi che interessano il ciclo sismico: prima, durante e dopo un evento. Il potenziamento di questo ambito di indagine, soprattutto per zone a maggior rischio sismico, può fornire nuovi ed importanti elementi per la comprensione dei fenomeni che sono alla base della generazione di un terremoto.
Simone Atzori, prima firma della ricerca, sottolinea come queste attività di ricerca vengano svolte in occasione di tutti i terremoti significativi in Italia e all’estero; spesso si tratta di analisi ex-post, in cui si ‘guarda indietro’ e si riconsiderano eventi passati, in relazione anche alla disponibilità di nuovi dati e di nuovi algoritmi per la loro elaborazione. E’ fondamentale continuare ad indagare con un approccio multidisciplinare con la speranza di individuare, in futuro, indicatori che possano diminuire il grado di aleatorietà dell’accadimento di terremoti.

Nel lago di Pantelleria studi di astrobiologia

Nel lago di Pantelleria studi di astrobiologia

lago VenereNello splendido scenario del lago di Specchio di Venere, a Pantelleria, un gruppo internazionale di ricerca a cui partecipa l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), sta studiando  la formazione di stromatoliti, cioè di strutture sedimentarie di origine organica, che sono prodotte da comunità di microrganismi in ambiente marino o lacustre.  Solitamente le stromatoliti sono composte da sedimenti di tipo carbonatico, invece la particolarità delle stromatoliti del lago Specchio di Venere sta nel fatto che il sedimento è di tipo siliceo e la loro formazione è favorita dall’attività idrotermale.

La ricerca si collega agli studi svolti nell’ambito della tesi di dottorato della ricercatrice Marianna Cangemi, dell’Università di Palermo, che attualmente proseguono in collaborazione con la sezione di Palermo dell’INGV e l’Università Pierre et Marie Curie di Parigi.

“Le stromatoliti silicee – dice Marianna Cangemi – sono molto rare in natura e per la maggior parte all’interno di ambienti idrotermali a temperature molto più elevate di quelle ambientali. Per questo motivo il ritrovamento di tali strutture nel lago Specchio di Venere assume un carattere di eccezionalità, se non di unicità, in quanto a Pantelleria tali rocce si sono formate e sono attualmente in fase di accrescimento, in un ambiente di bassa temperatura, costituendo un prezioso ed attuale laboratorio geo-biologico”.

“Questi materiali – continua Paolo Madonia, ricercatore INGV – rivestono da sempre particolare interesse per microbiologi, paleontologi, sedimentologi, biogeochimici e astrobiologi, in quanto contenenti, nella loro matrice minerale la registrazione della storia chimica e morfologica della vita, e rappresentano  inoltre un fondamentale punto di riferimento per il riconoscimento di forme di vita primordiali in altri pianeti (ad esempio su Marte).”

La conoscenza puntuale di tali processi è di fondamentale importanza non soltanto dal punto di vista meramente scientifico, ma anche per la corretta gestione della  riserva naturale, nell’ambito della quale il lago si colloca, in quanto tali forme rappresentano un’entità paesaggistica di estremo interesse, che potrebbe essere opportunamente valorizzata in uno scenario di turismo eco-compatibile.