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I germogli e il gelo lunare

I germogli e il gelo lunare

L’annuncio del germoglio di cotone sviluppatosi nella biosfera allestita all’interno della sonda cinese Chang’e-4, allunata il 3 gennaio 2019 sulla fascia nascosta del nostro satellite naturale nei pressi del cratere Von Karman, aveva fatto nascere congetture le più disparate, nonostante la chiarezza degli obiettivi. Poi il successivo annuncio, da parte dei responsabili di questo primo esperimento biologico extraplanetario, della morte dello stesso germoglio a causa della esposizione alla drastica escursione termica che ha sottoposto il contenitore in alluminio con i campioni biologici a -52 gradi di temperatura. Ideato per mantenere l’atmosfera del piccolo laboratorio a una temperatura compresa tra 1 e 30 gradi sopra lo zero Celsius, l’involucro protettivo non è bastato a contrastare la fredda notte lunare che fa precipitare la temperatura esterna sulla superficie selenita a -180 gradi. Tuttavia, sarebbe sbagliato dichiarare fallito l’esperimento durato 213 ore. Dei campioni biologici inseriti nella piccola biosfera all’interno della sonda, comprendenti anche colza, patata e arabidopsis, lieviti e uova dei moscerini della frutta, solo i semi di cotone hanno cominciato a crescere. Un test servito a dimostrare che in un ambiente termicamente protetto è possibile attivare i meccanismi biologici che sulla Terra danno normalmente frutti. Con la consapevolezza che la tecnologia basata sul controllo termico passivo dovrà evolvere ulteriormente per garantire la sopravvivenza di campioni biologici. Un passaggio decisivo per impostare forme di coltivazione di tipo orticolo su Luna e Marte.

Primo germoglio sulla Luna

Primo germoglio sulla Luna

Per la prima volta nella storia dell’umanità, un seme di cotone sta germogliando sulla Luna. Le foto provenienti dalla biosfera a bordo della sonda cinese Chang’e-4 mostrano che i semi di cotone stanno crescendo bene e ci si aspetta che presto produrranno le prime foglie verdi. C’è entusiasmo tra i ricercatori cinesi della Chongqing University che hanno allestito l’esperimento, il primo di natura biologica sulla superficie del nostro satellite naturale. Le foto scattate dalla telecamera interna a bordo della sonda Chang’e-4, posatasi il 3 gennaio scorso sulla superficie della faccia nascosta della Luna, mostrano che i semi di cotone sono germogliati. Il germoglio continuerà a crescere e ci si aspetta che presto produrrà la sua prima foglia verde. I campioni di organismi presenti all’interno del carico biologico sono costituiti da semi di cotone, patate, arabidopsis (genere di piante angiosperme detta arabetta comune), colza, crisalidi e lieviti. Da tenere conto che gli organismi contenuti nella biosfera sono sottoposti a condizioni ambientali estreme, dalla bassa gravità all’esposizione alle radiazioni cosmiche fino alla forte escursione termica. Il test cinese rappresenta il primo passo per organizzare serre in habitat extraterrestri, lunari e marziani, in cui produrre cibo per gli astronauti, riducendo la quantità dei rifornimenti provenienti dalla Terra.

(Crediti: Chinese Lunar Exploration Program, Chongqing University)

Al Nobel Ramakrishnan il Premio Capo d’Orlando 2018

Al Nobel Ramakrishnan il Premio Capo d’Orlando 2018

Il Premio Scientifico “Capo d’Orlando”, assegnato dal Museo Mineralogico Campano di Vico Equense e la cui denominazione rimanda al rinvenimento di pesci fossili nella località della costa sorrentina, ha celebrato la ventesima edizione conferendo il prestigioso riconoscimento a Venkatraman Ramakrishnan, Nobel per la Chimica 2009 e presidente della Royal Society. Una eccellenza assoluta del panorama della ricerca scientifica, insignito a Stoccolma per gli studi condotti sulla struttura e la funzione dei ribosomi, le strutture cellulari che fabbricano le proteine, traducendo le istruzioni contenute nel Dna nei mattoni della vita. E la chimica, nelle sue varie sfaccettature, ha caratterizzato il ventennale del premio ideato da Umberto Celentano, direttore del Museo Mineralogico Campano. Una disciplina richiamata dagli altri premiati del 2018, dal filosofo della scienza e docente patavino Telmo Pievani, insignito per la sezione “comunicazione multimediale”, al divulgatore del CNR e docente de “La Sapienza” Valerio Rossi Albertini, per arrivare a Catia Bastioli, ceo di Novamont e presidente di Terna, interprete e paladina di un cambiamento necessario per la decarbonizzazione a livello mondiale, e Massimo Osanna, direttore della Soprintendenza archeologica di Pompei, area che riflette non solo l’importanza storica dei catastrofici eventi vesuviani del 79 dc ma si rileva un mondo cristallizzato da scoprire e analizzare con le più evolute tecniche di indagine chimico-biologiche.

La 20ma edizione del Premio “Capo d’Orlando” ha richiamato una serie di messaggi dal futuro ma che dipendono dal modo in cui l’umanità, i governi e le società civili e industriali sapranno interpretare il presente. Un quadro di speranza quello disegnato dal Nobel Ramakrishnan, il quale prefigura la capacità degli antibiotici di attaccare le molecole dei batteri, anche quelli più resistenti, legandosi al loro ribosoma e agendo in modo mirato e risolutivo. Un meccanismo destinato, con buone probabilità, a rendere efficace anche l’azione dei farmaci antitumorali. Senza tralasciare il ruolo che la biologia molecolare potrà ricoprire nella ricerca delle malattie genetiche e rare.

Gli avanzamenti nel campo della ricerca scientifica, ovunque condotta, non possono essere lasciati al caso. Lo sottolinea Telmo Pievani, secondo il quale occorre lavorare per la democrazia della conoscenza ovvero per la cittadinanza scientifica, dialogando con ogni tipo di linguaggio chiaro e autentico per controbilanciare le fake news, definite nemico suadente del nostro cervello. Direttore del portale Pikaia.eu, dedicato all’evoluzione, Pievani ha annunciato la riunione di tutte le espressioni dell’Università di Padova in un unico cross-media magazine che contribuirà alla migliore divulgazione delle attività accademiche e del mondo della scienza in generale. C’è chi, come Valerio Rossi Albertini, si affida al metodo empirico e ai facili esempi diretti per smontare convinzioni in antitesi con la realtà, come i dubbi sull’effetto serra che assedia il nostro pianeta. L’appello di Catia Bastoli a privilegiare l’approccio circolare alla bioeconomia comprova che scienza e industria possiedono strumenti per combinarsi proficuamente e contribuire a invertire i processi di consumo irreversibile delle risorse del pianeta. Il pericolo non corre solo sull’acqua (in alcune zone della Cina si producono 400 kg di plastica per ettaro), sui cui volumi vitali incombono quantità smisurate di materia non degradabile, perché occorre essere pure consapevoli che occorrono due millenni per produrre 10 centimetri di suolo fertile, a fronte di pochi istanti per rimuoverlo.

Intervista a Venkatraman Ramakrishnan, premio Nobel per la Chimica 2009 e presidente della “Royal Society”, in occasione del conferimento del Premio scientifico Capo d’Orlando

Marte e il microbiota intestinale

Marte e il microbiota intestinale

Grazie a una missione simulata sul Pianeta rosso di 520 giorni (Mars500), un gruppo di ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Itb-Cnr) e delle Università di Bologna e della Tuscia di Viterbo, hanno valutato per la prima volta l’impatto di prolungate condizioni di confinamento sul microbiota intestinale umano. Lo studio ha riguardato le dinamiche temporali del microbiota intestinale di sei astronauti di diversa nazionalità che hanno partecipato a MARS500, la simulazione di una missione completa su Marte durata 520 giorni, durante la quale sono state monitorate variabili psico-fisiologiche quali stress, performance cognitive e atletiche, funzionalità gastrointestinali e profili immunologici.

La ricerca, pubblicata su Microbiome (BioMed Central), è la prima a valutare l’impatto di prolungate condizioni di confinamento sul microbiota intestinale umano. I dati dimostrano l’importanza del mantenimento dell’omeostasi dei batteri intestinali nelle condizioni di stress quali quelle di una missione spaziale, e quindi anche quella dei batteri intestinali nella risposta individuale agli stress quotidiani. “Le comunità microbiche del nostro intestino sono necessarie per molteplici aspetti e giocano un ruolo chiave nella nostra salute, regolando l’omeostasi metabolica e immunologica. Vi è quindi un crescente interesse a comprendere i molteplici fattori, endogeni ed ambientali, che ne influenzano composizione e funzionalità, con l’obiettivo di favorire il mantenimento o recupero di una configurazione microbica favorevole. Benché sia nota l’elevata dinamicità del microbiota, però, la nostra conoscenza di come esso cambi nel tempo in relazione a specifiche azioni e comportamenti, è ancora limitata”, spiega Clarissa Consolandi dell’Itb-Cnr. “MARS500, la più lunga simulazione di un volo interplanetario mai condotta, ci ha consentito di avanzare nella comprensione di tali dinamiche, fornendoci l’opportunità di valutare la variabilità temporale del microbiota intestinale in un ambiente unico come la mancanza di interazioni sociali, il ridotto contatto con l’ambiente, la disponibilità di risorse limitata e il consumo di cibi per lo più in scatola”.

Le analisi sono state condotte sui campioni fecali dei sei membri dell’equipaggio a vari intervalli di tempo, nel corso dei 520 giorni di esperimento e fino a sei mesi dopo la conclusione. “I risultati confermano la natura dinamica e personalizzata del microbiota anche nelle condizioni di un ambiente confinato, caratterizzata da riarrangiamenti di microrganismi autoctoni”, prosegue Marco Candela del Dipartimento di farmacia e biotecnologie dell’Università di Bologna. “Nonostante questa variabilità, è comunque emerso che gli ecosistemi microbici intestinali degli astronauti divenivano gradualmente più simili tra loro all’aumentare del tempo, in particolare per gli andamenti di alcune componenti, il che suggerisce un certo grado di convergenza dell’evoluzione microbiotica in ambiente confinato”. In particolare, lo studio ha inoltre evidenziato “un aumento delle specie appartenenti al genere ‘Bacteroides’ nelle primissime fasi della missione, in concomitanza con disturbi del sonno, deficit di vigilanza o alterazioni del ritmo sonno-veglia. Non a caso ‘Bacteroides’, importante produttore di propionato, è maggiormente rappresentato in condizioni di stress”, continua Candela. “Inoltre, noti produttori di butirrato, come ‘Roseburia faecis’ e ‘Faecalibacterium prausnitzii’, appaiono estremamente variabili durante il corso della missione, il che sembra suggerire importanti oscillazioni nella produzione degli acidi grassi a corta catena, quando i dati psicologici e biochimici evidenziavano alti livelli di stress, predominanza di pensieri negativi, alti livelli salivari di cortisolo, aumento di linfociti e risposte immunitarie e positività al test della calprotectina, marker fecale di infiammazione”. In conclusione, i dati del presente studio – che ha coinvolto anche German Aerospace Center e Università dell’Arkansas – dimostrano che fattori quali isolamento e stress forzano le risposte del microbiota intestinale, con il rischio di determinare sbilanciamenti nella produzione degli acidi grassi a corta catena ed effetti sull’omeostasi metabolica ed immunologica dell’individuo. “Tutto ciò dimostra quanto sia fondamentale mantenere un equilibrio a livello della flora intestinale in risposta agli stress quotidiani. Quindi, eventuali alterazioni dovrebbero essere monitorate e corrette tempestivamente, nella vita di tutti i giorni e, in particolare durante missioni nello spazio, al fine di conservare il rapporto di simbiosi mutualistica che condividiamo con l’ecosistema microbico, importante a sua volta per preservare la salute fisica e psicologica degli astronauti”, conclude Consolandi.

 

Il Nobel Doherty alla Montalcini Lecture

Il Nobel Doherty alla Montalcini Lecture

IMG_1282L’umanità deve prestare attenzione alla velocità con cui virus e agenti patogeni possono propagarsi da un continente all’altro, ma il rischio di pandemie devastanti come quelle che si sono manifestate dal secolo XIV a quello scorso è assai improbabile perché la scienza affina incessantemente i metodi per riconoscere e prevenire le forme potenzialmente letali. Così l’immunologo australiano Peter Charles Doherty, Premio Nobel per la Medicina 1996 per aver scoperto come il sistema immunitario riconosce le cellule infettate dai virus, il quale ha tenuto a BergamoScienza 2015 la “Rita Levi Montalcini Memorial Lecture” sottolineando la necessità di dedicare la ricerca allo sviluppo di vaccini nuovi e sempre più efficaci per contrastare le patologie virali.

Nel corso del XX secolo la popolazione mondiale è aumentata di quattro volte e in più viaggia rapidamente da un punto all’altro del pianeta, trasportando inevitabilmente agenti virali. Le figure dell’infettivologo e dell’epimediologo sono in prima linea e occorre un’allerta costante per evitare il proliferare e il propagarsi di nuovi tipi di infezioni. I virus più aggressivi e contagiosi sono quelli che si diffondono per via respiratoria. Indossare le mascherine, pratica ricorrente nei Paesi d’oriente, serve a evitare che l’individuo affetto diffonda la patologia. La pandemia di SARS, che ebbe il suo focolaio in Cina tra il 2002 e il 2003, ha provocato un numero esiguo di vittime (basti pensare che ogni anno negli USA 35mila persona muoiono di influenza) ma è costata 50 miliardi di dollari, perché la gente ha smesso di viaggiare.

Ci siamo resi conto che i pipistrelli della frutta trasportano tanti virus pericolosi: non solo la rabbia ma anche l’Ebola. Oggi potremmo scoprire un virus sconosciuto in poche settimane anziché in mesi come nel caso della SARS. Certo – osserva Doherty – se si fosse manifestata nell’era prescienza sarebbe diventata virulenta come la peste. Anche MERS, virus correlato della SARS arriva ancora dai pipistrelli della frutta, portatori di coronavirus, henipavirus, filovirus.

Il nostro sistema immunitario si basa su una capacità di difesa innata e sul sistema adattivo emerso nei vertebrati 400 milioni di anni fa. Sviluppiamo anticorpi e una memoria immunitaria di lungo termine e tutte le azioni immunitarie funzionano con le interazioni tra proteine. Abbiamo bisogno di sviluppare nuovi vaccini (per fermare il virus HIV di cui sono affette 35 milioni di persone disponiamo solo di un farmaco), ma dobbiamo fare attenzione alle patologie autoimmuni. Abbiamo cancellato il pericolo del vaiolo, siamo sul punto di eradicare la polio grazie alla grande azione planetaria del Rotary International, eppure ci ritroviamo a combattere contro ingiustificati pregiudizi che minano il piano di vaccinazione contro le malattie esantematiche facendo rischiare il ritorno del morbillo.

 

EXPO 2015: salvare l’agrobiodiversità

EXPO 2015: salvare l’agrobiodiversità

xylellaA EXPO 2015 arriva uno strumento, nato da un’alleanza fra ricercatori italiani e statunitensi, per preservare la biodiversità nel settore agricolo, sempre più minacciata dai cambiamenti climatici, dall’utilizzo intensivo di prodotti chimici e dalla diffusione di specie esotiche invasive, come la cicalina e la Xylella fastidiosa, che mettono in pericolo “gioielli nazionali” come vite ed olivo. Si tratta di una tecnologia messa a punto nell’ambito del progetto GlobalChangeBiology , coordinato dall’ENEA e sviluppato in collaborazione con l’Università californiana di Berkeley e il consorzio scientifico no profit CASAS Global, presentata in occasione del convegno “Un mondo (bio)diverso: l’agrobiodiversità in un mondo che cambia”, tenutosi a Milano presso l’Auditorium di Cascina Triulza.

La diffusione di specie ‘invasive’ che colonizzano territori lontani da quelli di origine, ha costi elevatissimi, circa dieci volte più alti di quelli dovuti ai disastri naturali. Stime recenti della Coldiretti indicano che i danni da specie invasive alle colture italiane assommano a circa un miliardo di euro l’anno. È il caso, ad esempio, della cicalina Scaphoideus titanus, originaria del nord America e arrivata in Europa a metà del secolo scorso; nutrendosi della linfa della vite, è in grado di trasmettere alla pianta una grave malattia, la flavescenza dorata, che obbliga i viticoltori ad effettuare trattamenti insetticidi e, molto spesso, ad estirpare le viti infette. Anche negli oliveti è piena emergenza per il batterio fitopatogeno Xylella fastidiosa, che potrebbe rappresentare una concreta minaccia per il patrimonio olivicolo nazionale e mediterraneo.

L’allarme nasce anche dal fatto che con il surriscaldamento del clima e la globalizzazione, le specie invasive sono destinate ad aumentare: lo testimonia la crescente presenza di insetti tropicali e di vegetali dannosi nel Bacino del Mediterraneo, dalla zanzara tigre, all’alga killer che ha causato danni ingenti nelle praterie di Posidonia, fino alla Xylella che non era mai stata segnalata prima nella regione euro-mediterranea.

xylella2“L’ecosistema agricolo – spiega l’agronomo ed entomologo ENEA Luigi Ponti – è composto da moltissimi elementi che interagiscono e questo lo rende assai complesso. Grazie alla nostra tecnologia basata su un software che simula il funzionamento di un ecosistema nei suoi elementi essenziali e secondo appositi scenari, per la prima volta è possibile intervenire su base scientifica quantitativa per affrontare le criticità determinate dagli stress intensi e molto rapidi a cui l’agroecosistema è oggi sottoposto”.

Nello specifico, il software consente di tracciare una mappa del rischio costituito dagli insetti invasivi, ossia di valutarne la diffusione e di quantificarne il danno potenziale a livello territoriale, sulla base di modelli che simulano le dinamiche di colture e specie infestanti in relazione a comportamenti, fisiologia e condizioni climatiche.

Nel convegno si affronta anche il ruolo degli agricoltori – ma anche di allevatori, nutrizionisti, economisti, esperti di sicurezza alimentare o di politiche agrarie – nella selezione delle varietà e nella trasformazione dei prodotti che mangiamo. Spesso il consumatore non ha percezione diretta dei fattori che compongono la filiera, né delle implicazioni etiche che le proprie scelte hanno sulla disponibilità delle risorse genetiche sul lungo termine.

“In questo scenario – sottolinea la ricercatrice ENEA Federica Colucci – l’agricoltore è chiamato a stabilire nuove relazioni con i consumatori-cittadini, con il territorio e con il mercato. Ciò sta determinando negli ultimi anni la riformulazione delle scelte quotidiane d’acquisto dei consumatori ad esempio attraverso i Gruppi di Acquisto Solidale, i farmer’s market, la vendita diretta presso le aziende agricole. Forme di acquisto che rispondono non solo all’esigenza di accedere a cibo di qualità, ma anche di riappropriarsi di beni e servizi di cui il cibo e l’agricoltura sono portatori”.

Nell’immagine in evidenza: la hylella fastidiosa