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Vita di fosforo e ossigeno

Vita di fosforo e ossigeno

A supernova explodes, with dire consequences for its retinue of planets.

Due atomi, uno di fosforo (P) e uno di ossigeno (O). Legati insieme a formare una molecola, denominata appunto P-O, che gioca un ruolo importante nella chimica della vita, ed è considerata uno tra i “mattoni” che costituivano i primi organismi viventi. Questa molecola è stata individuata per la prima volta in due regioni di formazione stellare nella nostra Galassia da un gruppo internazionale di ricercatori a guida INAF. Nel team hanno collaborato anche scienziati del Centro di Astrobiologia (CAB-CSIC) di Madrid e dell’Istituto Max Planck per la Fisica Extraterrestre a Garching, in Germania. Una scoperta, quella della molecola P-O, che può gettare nuova luce sulle origini della vita nell’universo. I composti chimici contenenti fosforo, come fosfolipidi e fosfati, sono infatti essenziali per la struttura delle cellule e per il trasferimento di energia al loro interno. Particolarmente importante è proprio il legame chimico tra fosforo e ossigeno nella molecola P-O, che è determinante nella formazione della struttura dell’acido desossiribonucleico, più comunemente noto come DNA, la macromolecola che custodisce le informazioni genetiche degli organismi viventi. «Nonostante la sua rilevanza astrobiologica, la molecola P-O non era mai stata individuata nelle regioni dello spazio dove si stanno formando nuove stelle» dice Víctor M. Rivilla, astronomo dell’INAF presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri (OAA) a Firenze, che ha guidato lo studio. «Per questo abbiamo spinto le nostre indagini proprio in quelle zone, avviando un programma di ricerca specifico: trovarle là avrebbe significato che uno dei componenti fondamentali del DNA è già disponibile nel gas che formerà i pianeti, i luoghi migliori dove può aver origine la vita».

La scoperta, destinata alla pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal, è stata ottenuta grazie alle osservazioni condotte con il radiotelescopio dell’Istituto di Radioastronomia Millimetrica (IRAM) a Pico Veleta, in Spagna. I risultati presentati nel lavoro indicano che l’abbondanza di fosforo nelle regioni di formazione stellare è oltre dieci volte maggiore di quanto finora ritenuto. «Questa indagine ci rivela che il fosforo è un ingrediente importante e relativamente abbondante per “cucinare” stelle, pianeti e forse anche la vita», commenta Francesco Fontani (INAF-OAA), tra i coautori del lavoro.

Il “gruppo di formazione stellare” che è attivo presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’INAF, in parte finanziato dal Progetto Premiale ALMA, è leader a livello mondiale nella rilevazione e nello studio di molecole interstellari particolarmente interessanti nel campo dell’astrobiologia. «Alcuni anni fa, abbiamo scoperto la presenza dello zucchero più elementare, il glicolaldeide, in una regione di formazione stellare. Sia gli zuccheri che i composti del fosforo sono gli elementi costitutivi della doppia elica del DNA» aggiunge Maite Beltrán (INAF-OAA), che ha partecipato all’indagine. «Così, passo dopo passo, i nostri risultati ci stanno aiutando a comprendere come potrebbe essere stata originata la vita nello spazio».

Queste prime rilevazioni del legame chimico P-O verso le regioni di formazione stellare hanno profonde implicazioni per la chimica prebiotica. “Finora erano state studiate in dettaglio nelle “culle” stellari solo molecole contenenti idrogeno, carbonio, ossigeno e azoto» dice Jesús Martín-Pintado (CAB-CSIC ). «Con la nostra scoperta possiamo iniziare a studiare anche la chimica del fosforo nel mezzo interstellare, che ci darà importanti indizi su come la complessità chimica possa svilupparsi per formare molecole più complesse e di interesse astrobiologico».

Con la scoperta della molecola P-O in zone dove nasceranno nuove stelle e con molta probabilità nuovi sistemi planetari, si apre dunque una nuova e promettente branca della ricerca di molecole prebiotiche, come sottolinea Paola Caselli, direttrice dell’Istituto Max Planck per la Fisica Extraterrestre, anche lei nel team che ha condotto lo studio: «La ricerca di molecole prebiotiche in regioni di formazione stellare è appena iniziata, ma il fatto di aver individuato un altro elemento costitutivo della vita porta ancora più entusiasmo nel campo dell’astrochimica. Il futuro di questo settore di ricerca è luminoso, grazie anche ai grandi strumenti che abbiamo oggi a disposizione, come i telescopi IRAM e Atacama Large Millimeter / Submillimeter Array (ALMA)».

La sentinella di onde gravitazionali

La sentinella di onde gravitazionali

Onde gLa prima conferma diretta della rilevazione delle onde gravitazionali, avvenuta il 14 settembre 2015 e annunciata nel febbraio 2016 dai gruppi di ricerca astrofisica LIGO E VIRGO, ne ha comprovato l’ esistenza prevista un secolo fa da Albert Einstein. Ora tocca al telescopio spaziale per alte energie INTEGRAL analizzare l’intensità dell’energia elettromagnetica emessa dalle sorgenti di onde gravitazionali che saranno rilevate in futuro

Uno dei limiti osservativi attuali – riporta una nota dell’Agenzia Spaziale Italiana – è che gli interferometri operativi non consentono di individuare la posizione esatta nel cielo da cui provengono le onde gravitazionali, ma indicano un’ampia striscia dove è più alta la probabilità della loro direzione d’arrivo. Così, due giorni dopo, il 16 settembre 2015, sono stati allertati telescopi e strumenti astronomici da Terra e dallo spazio, per cercare possibili tracce di segnali elettromagnetici associati alla sorgente dell’onda gravitazionale. La natura della sorgente non è ancora chiara e le informazioni raccolte con osservazioni in tutta la banda elettromagnetica possono essere utili per raccogliere indizi su di essa. Le onde gravitazionali sono infatti prodotte da masse accelerate, e in modo significativo dalla coalescenza di oggetti celesti molto densi come stelle di neutroni e buchi neri. Anche se le attuali teorie indicano come l’emissione di onde elettromagnetiche durante un evento di fusione di buchi neri sia estremamente debole, è possibile che un evento di fusione in cui almeno uno dei protagonisti sia una stella di neutroni possa lasciare una firma caratteristica osservabile anche nelle onde elettromagnetiche. Tra gli osservatori che hanno partecipato alla campagna di indagine per la sorgente dell’onda gravitazionale del 14 settembre 2015 c’è stato il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea INTEGRAL, realizzato con il sostegno dell’Agenzia Spaziale Italiana e il contributo scientifico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. La ricerca specifica sui dati INTEGRAL, pubblicata sulla rivista the Astrophysical Journal Letters, mette in evidenza come non sia stata trovata alcuna indicazione di emissione di alta energia associata al rilevamento LIGO.  Gli scienziati hanno analizzato i dati dello schermo ad anti-coincidenza installato sullo strumento SPI di INTEGRAL, la cui funzione è, da un lato, quello di proteggere lo strumento dalle radiazioni e particelle provenienti da altre direzioni rispetto al campo visivo in cui sta puntando e, dall’altro, rilevare fonti transienti di raggi gamma. Per queste sue caratteristiche, è quasi ininterrottamente in funzione ed è sensibile agli imprevedibili segnali che possono arrivare da qualunque parte del cielo.

Integral_medium“Intorno alla metà di marzo  – sottolinea Pietro Ubertini dell’INAF responsabile del telescopio IBIS a bordo del telescopio dell’ESA – è stato approvato un nuovo protocollo della modalità operativa di INTEGRAL, che ora sarà puntato non appena possibile verso la direzione di arrivo del prossimo evento segnalato da LIGO. Quando poi sarà operativo anche l’interferometro VIRGO, INTEGRAL grazie al suo grande campo di vista coprirà tutta zona di alta probabilità di provenienza dei segnali gravitazionali rivelati: la speranza è di identificare l’oggetto cosmico responsabile dell’emissione gravitazionale».

L’analisi dei dati di LIGO ha indicato che le onde gravitazionali sono state prodotte da una coppia di buchi neri in fusione, ognuno con circa 30 masse solari, a circa 1,3 miliardi di anni luce di distanza. Per un evento del genere, gli scienziati non si aspettavano alcuna emissione significativa di radiazione elettromagnetica alle varie lunghezze d’onda: la mancata rilevazione di segnali di alta energia dagli strumenti di INTEGRAL conferma questo scenario.

Mattoni con polvere lunare

Mattoni con polvere lunare

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Un enorme mattone da una tonnellata e mezza, stampato in 3D dall’Agenzia Spaziale Europea, impiegando l’equivalente di polvere lunare, ovvero regolite, estratta da roccia vulcanica italiana simile per il 99,8% . E’ l’oggetto di maggiore richiamo dell’esposizione “Engineering Playground”, allestita fino al 25 aprile 2016 nell’ambito della mostra “The Art of the Brick” allo Spazio Eventi Set a Roma, curata da Marco Evangelos Biancolini, Tecnica delle Costruzioni Meccaniche, e da Pier Paolo Valentini, Prototipazione Virtuale, docenti dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa “Mario Lucertini”. Un modo per dimostrare la fattibilità di impiego della tecnologia di stampa 3D per la produzione di strutture abitative sulla superficie selenita. Il prototipo del mattone è stato ottenuto con la stampante D-Shape, con telaio delle dimensioni di sei metri, finora utilizzata per realizzare barriere coralline artificiali. E’ prodotta dall’azienda britannica Monolite, fondata dall’italiano Enrico Dini. Del processo di adattamento della stampa 3D all’ambiente lunare si è occupata l’azienda italiana Alta, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. La tecnica ISRU, acronimo che indica l’utilizzo delle risorse sul posto, è l’obiettivo da perseguire anche per le future basi su Marte.

“Engineering Playground” racconta di un nuovo modo di fare ingegneria e vuole essere una tappa obbligata non solo per gli adulti ma, soprattutto, per i ragazzi che sognano di diventare ingegneri: perché giocare con i mattoncini LEGO® e progettare con i moderni strumenti offerti dall’Industria 4.0, come prototipazioni virtuali e stampanti 3D, non è poi così diverso. L’esposizione è stata progettata e realizzata dai suoi curatori come un “parco giochi dell’ingegneria”, con l’obiettivo di mostrare quanto le nuove metodologie a supporto dell’ingegneria di prodotto possano avvicinare il complesso mestiere dell’ingegnere alla fantasia e alla creatività del gioco. E’ possibile vedere alcune installazioni speciali, supportate da contenuti multimediali, che sono state realizzate dal Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa in collaborazione con alcuni partner di ricerca applicata tra cui HSL, azienda italiana specializzata in prototipazione rapida e piccole produzioni di qualità (soprattutto nel settore automotive), Pipistrel, azienda slovena di produzione di aeromobili leggeri e CRG, leader mondiale del karting. Giocare con i mattoncini LEGO® e progettare con i moderni strumenti offerti dall’Industria 4.0 non sono attività poi così distanti.

 

Orto e colture idroponiche in orbita

Orto e colture idroponiche in orbita

HYDROPONICPiante in grado di crescere nello spazio per fornire alimenti “freschi” nelle stazioni orbitanti del futuro: è questo l’obiettivo che si pone ENEA con le ricerche condotte sul pomodoro “Micro-Tom”, una varietà nata come pianta ornamentale, ma con caratteristiche tali da adattarsi ad un “orto spaziale”. Questi temi sono stati al centro del workshop “Agrispazio: colonizzare Luna e Marte per nutrire la Terra”, che si è tenuto al Museo dell’Ara Pacis a Roma, nel corso del quale si è discusso su come nutrire gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale e sostenere con tecnologie biorigenerative la permanenza dell’uomo oltre la bassa orbita terrestre.

“Le nostre ricerche – afferma Eugenio Benvenuto, responsabile del laboratorio Biotecnologie dell’ENEA – mirano a favorire la sostenibilità dell’habitat delle stazioni spaziali grazie alla coltivazione di piante ‘tuttofare’, in grado di innescare un ciclo bio-rigenerativo di risorse vitali come acqua e ossigeno, di abbattere l’anidride carbonica e al tempo stesso di costituire un alimento sicuro per gli astronauti, ricco di molecole ad alto valore aggiunto”. “La ricerca agronomica – aggiunge Benvenuto – rende oggi possibile coltivare piante in luoghi estremi come la Stazione Spaziale Internazionale, grazie a colture ‘fuori suolo’ o idroponiche, che non hanno bisogno di suolo per crescere ma solo di acqua e sostanze nutritive”.

Le ricerche condotte nel Centro ENEA della Casaccia nascono nell’ambito del progetto BIOxTREME, finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, ed analizzano il potenziale delle piante sia come fonte di elementi antiossidanti che antimicrobici, capaci di rafforzare le difese immunitarie degli astronauti rispetto alle condizioni di vita imposte dalla permanenza nei moduli spaziali aggravate anche dalla proliferazione di microbi importati dalla Terra. Obiettivo è la costruzione di un “ideotipo” vegetale resistente alle condizioni extraterrestri, quali l’assenza di peso, le radiazioni cosmiche e i campi elettromagnetici. Da queste combinazioni genetiche potranno essere prodotte piante che accumulano grandi quantità di sostanze antiossidanti come le antocianine, le cosiddette “molecole-antidoto”, utili contro l’invecchiamento e presenti in grandi quantità nei frutti di colore scuro.

Inoltre, sia le piante che le radici, possono essere fonte di svariate tipologie di proteine con riconosciute attività farmacologiche. Sono infatti allo studio colture di radici che funzionano come bioreattori naturali in grado di sintetizzare molecole ad altissimo valore aggiunto come anticorpi, peptidi e immunostimolanti. Si tratta di molecole preziose, la cui sintesi è indotta da nuovi geni costruiti in laboratorio. Le radici così ottenute possono essere cresciute in condizioni controllate aggiungendo nel terreno di coltura sali, zucchero e vitamine.

Queste radici risultano resistenti ad alte dosi di radiazioni gamma e protoni dell’ordine di 10 gray e sono in grado di proliferare anche dopo dosi di irraggiamento che sarebbero letali per molti altri tipi di cellule. Le condizioni di stress accentuato e le eventuali alterazioni del metabolismo che ne derivano, vengono puntualmente analizzate nel loro complesso mediante tecniche molecolari avanzate che riescono a mettere in evidenza anche le minime variazioni significative.

 

EXPO 2015: salvare l’agrobiodiversità

EXPO 2015: salvare l’agrobiodiversità

xylellaA EXPO 2015 arriva uno strumento, nato da un’alleanza fra ricercatori italiani e statunitensi, per preservare la biodiversità nel settore agricolo, sempre più minacciata dai cambiamenti climatici, dall’utilizzo intensivo di prodotti chimici e dalla diffusione di specie esotiche invasive, come la cicalina e la Xylella fastidiosa, che mettono in pericolo “gioielli nazionali” come vite ed olivo. Si tratta di una tecnologia messa a punto nell’ambito del progetto GlobalChangeBiology , coordinato dall’ENEA e sviluppato in collaborazione con l’Università californiana di Berkeley e il consorzio scientifico no profit CASAS Global, presentata in occasione del convegno “Un mondo (bio)diverso: l’agrobiodiversità in un mondo che cambia”, tenutosi a Milano presso l’Auditorium di Cascina Triulza.

La diffusione di specie ‘invasive’ che colonizzano territori lontani da quelli di origine, ha costi elevatissimi, circa dieci volte più alti di quelli dovuti ai disastri naturali. Stime recenti della Coldiretti indicano che i danni da specie invasive alle colture italiane assommano a circa un miliardo di euro l’anno. È il caso, ad esempio, della cicalina Scaphoideus titanus, originaria del nord America e arrivata in Europa a metà del secolo scorso; nutrendosi della linfa della vite, è in grado di trasmettere alla pianta una grave malattia, la flavescenza dorata, che obbliga i viticoltori ad effettuare trattamenti insetticidi e, molto spesso, ad estirpare le viti infette. Anche negli oliveti è piena emergenza per il batterio fitopatogeno Xylella fastidiosa, che potrebbe rappresentare una concreta minaccia per il patrimonio olivicolo nazionale e mediterraneo.

L’allarme nasce anche dal fatto che con il surriscaldamento del clima e la globalizzazione, le specie invasive sono destinate ad aumentare: lo testimonia la crescente presenza di insetti tropicali e di vegetali dannosi nel Bacino del Mediterraneo, dalla zanzara tigre, all’alga killer che ha causato danni ingenti nelle praterie di Posidonia, fino alla Xylella che non era mai stata segnalata prima nella regione euro-mediterranea.

xylella2“L’ecosistema agricolo – spiega l’agronomo ed entomologo ENEA Luigi Ponti – è composto da moltissimi elementi che interagiscono e questo lo rende assai complesso. Grazie alla nostra tecnologia basata su un software che simula il funzionamento di un ecosistema nei suoi elementi essenziali e secondo appositi scenari, per la prima volta è possibile intervenire su base scientifica quantitativa per affrontare le criticità determinate dagli stress intensi e molto rapidi a cui l’agroecosistema è oggi sottoposto”.

Nello specifico, il software consente di tracciare una mappa del rischio costituito dagli insetti invasivi, ossia di valutarne la diffusione e di quantificarne il danno potenziale a livello territoriale, sulla base di modelli che simulano le dinamiche di colture e specie infestanti in relazione a comportamenti, fisiologia e condizioni climatiche.

Nel convegno si affronta anche il ruolo degli agricoltori – ma anche di allevatori, nutrizionisti, economisti, esperti di sicurezza alimentare o di politiche agrarie – nella selezione delle varietà e nella trasformazione dei prodotti che mangiamo. Spesso il consumatore non ha percezione diretta dei fattori che compongono la filiera, né delle implicazioni etiche che le proprie scelte hanno sulla disponibilità delle risorse genetiche sul lungo termine.

“In questo scenario – sottolinea la ricercatrice ENEA Federica Colucci – l’agricoltore è chiamato a stabilire nuove relazioni con i consumatori-cittadini, con il territorio e con il mercato. Ciò sta determinando negli ultimi anni la riformulazione delle scelte quotidiane d’acquisto dei consumatori ad esempio attraverso i Gruppi di Acquisto Solidale, i farmer’s market, la vendita diretta presso le aziende agricole. Forme di acquisto che rispondono non solo all’esigenza di accedere a cibo di qualità, ma anche di riappropriarsi di beni e servizi di cui il cibo e l’agricoltura sono portatori”.

Nell’immagine in evidenza: la hylella fastidiosa

Antarctica Day alla Stazione Concordia

Antarctica Day alla Stazione Concordia

Antarctica Day2Il lancio di un pallone commemorativo ha celebrato “Antarctica Day”, che ricorda la firma e lo spirito del Trattato Antartico siglato a Washington il 1° Dicembre 1959, sottoscritto dall’Italia nel 1981 e da 47 Nazioni fino ad oggi. Il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA) celebra l’Antarctica Day dedicandovi le attività di ricerca attualmente in essere nell’ambito della XXIX spedizione presso la base Italiana “Mario Zucchelli” a Baia Terra Nova, nel Mare di Ross e la stazione Italo-Francese “Concordia”, sul plateau Antartico.

Il Trattato Antartico – come sottolinea Enrico Brugnoli, direttore del Dipartimento Scienze della Terra e dell’Ambiente CNR – segnò il momento di arresto nelle rivendicazioni territoriali sull’unico continente allora ancora inesplorato, sancì il divieto di ogni attività a carattere militare e di ogni esperimento nucleare e gettò le basi per fare dell’Antartide una riserva naturale dedicata alla pace, alla ricerca e alla collaborazione scientifica in favore dell’Umanità.

Dal 1985, attraverso il PNRA, l’Italia contribuisce alla conoscenza e allo studio del continente Antartico finanziando progetti che vedono scienziati italiani impegnati in ricerche internazionali su settori strategici quali glaciologia, fisica dell’atmosfera, geologia, geofisica, oceanografia, astrofisica, biologia, medicina, sviluppo tecnologico, con un particolare focus sulle questioni connesse ai cambiamenti climatici. Il CNR cura la programmazione e il coordinamento scientifico delle attività, mentre all’ENEA è affidato il compito di assicurare il necessario supporto logistico.Le iniziative celebrative di “Antarctica Day” sono coordinate dall’associazione mondiale di giovani ricercatori polari APECS (https://apecs.is/outreach/antarctica-day/antarctica-day-2013/antarctica-day-2013-map), in collaborazione con associazioni nazionali ed internazionali che si occupano di ricerca ed educazione delle scienze polari, tra cui l’Italiana  SPEs: Scuola Polare Estiva per insegnanti (https://www.mna.it/spes), finanziata nell’ambito delle attività di divulgazione del PNRA.

Nella foto di Angelo Domesi (CNR) il lancio del pallone dalla Stazione Concordia in Antartide